Livorno-Pisa, calcio e tanto altro
Rivalità in campo e fuori, con risse e colpi di pistola È la partita che da cento anni accende la Toscana
La stracittadina di una città che non c’è (ma poteva esserci). A 100 anni di distanza dal primo derby di campionato, il fascino di Livorno-Pisa è ancora racchiuso nel fatto che dove inizia l’una finisce l’altra, senza niente in mezzo. Due centri distanti una ventina di chilometri, simili agli agglomerati di Manchester o Glasgow, con la propria squadra a identificarli. Tutti i giorni livornesi e pisani sono mescolati sul posto di lavoro, università e ospedale a Pisa, settore navale a Livorno (ovviamente non mancano le famiglie miste). Ci fu un tempo in cui i due territori erano un tutt’uno: la Repubblica Marinara di Pisa aveva il suo principale scalo nel Porto Pisano, attaccato al villaggio chiamato Livorno. Ma la storia è una ruota: nel ‘500 pisani sconfitti dalla Firenze dei Medici e così Livorno insieme al suo porto si espanse fino a diventare (com’è oggi) il doppio di Pisa. I livornesi sentendosi «cittadini» affibbiarono ai pisani l’etichetta di «campagnoli» e Pisa, dall’alto delle tre università e di Piazza dei Miracoli, bollò come «portuali» i vicini di mare. Livornese aperto e scanzonato, pisano più chiuso e snob: stereotipi, che però si risvegliano con il calcio, tra pistole, bare e una partita sospesa per rissa fra giocatori.
La fusione mancata
Ne sa qualcosa Romeo Anconetani, il presidentissimo del Pisa che propose la fusione con il Livorno per duellare con la Fiorentina. La fanta-squadra avrebbe giocato in uno stadio da 40mila posti da costruire a metà strada e si sarebbe chiamata Pisorno, dal nome che Gabriele D’Annunzio ideò per gli studi cinematografici sorti negli Anni ’30. Ma qui non è Hollywood, e Anconetani rinuncio all’ idea dopo la rabbiosa opposizione dei tifosi di entrambe le parti. Perché la rivalità ha radici profonde. Nel 1913 a Pisa i tifosi della Spes (progenitrice dell’attuale Livorno) nelle scaramucce del dopo-partita spararono alcuni colpi di rivoltella in aria, e nel 1921 c’era stata la seguitissima finale Centro-Sud a Bologna, vinta 1-0 dal Pisa. Nel 1959 tutti i giocatori dovettero rispondere davanti al giudice di rissa aggravata (compreso Armando Picchi) dopo la zuffa a suon di colpi proibiti scoppiata all’Arena Garibaldi al momento della sospensione al 59’ per il campo ai limiti della praticabilità improvvisamente diventato un acquitrino (il Pisa fu accusato di averlo allagato di proposito).
Riti e miti
L’epica del derby non poteva sublimarsi che nei turbolenti Anni 70, quando fra campionato e Coppa Italia se ne giocarono 30 (un terzo del totale). Scazzottate fra tifosi (mai degenerate), tanti cartellini rossi e goliardia spinta all’estremo. Il Pisa fu accolto all’Ardenza da 11 bare, di cui una più piccola per Claudio Di Prete (alto 1,65) che puniva spesso gli amaranto (una volta di testa!), mentre lo spauracchio dei pisano era l’argentino Miguel Vitulano (il cui pupazzo spuntò da un bidone sotto la curva pisana). A quell’epoca risale anche l’ultima vittoria nerazzurra a Livorno (41 anni fa). Da lì in poi il derby ha vissuto la pausa più lunga (18 stagioni) e col nuovo secolo si è fatto evento raro (4 sfide negli ultimi 15 anni). Per questo motivo la rivalità si è fatta ancora più intensa, come in una stracittadina. Cavalcata anche a livello ufficiale, vedi il tweet del Livorno con il tormentone «scusate, è la settimana del derby, il nerazzurro non esiste», rivolto ai club famosi nel mondo che hanno questi colori, con simpatica risposta giunta anche... dall’Inter. Chissà che il Pisa non decida di adeguarsi, scendendo in campo a sorpresa con una delle maglie da trasferta. Perché lo spirito del derby non conosce confini, come le due città.
La rivalità Due città divise da 20 chilometri, ma senza confine e che nel ‘500...