La Gazzetta dello Sport

Il delitto di Luca, il dolore del papà «Ragazzo pulito. Si fidava troppo»

Parlano i familiari della vittima: «Chiediamo solo giustizia Anastasia era come una figlia

- Di Stefania Angelini

La voce rotta dal dolore e il ricordo dell’ultimo saluto al figlio Luca, prima che quella maledetta sera il ragazzo trovasse la morte, all’uscita del John Cabot Pub all’Appio Latino, a Roma: «Prima di uscire per andare a lavoro nel mio ristorante, gli ho fatto un’iniezione per il mal di schiena e lui mi ha detto che ero stato bravissimo. Allora gli ho dato un bacio e lui mi ha guardato con un sorriso e ci siamo abbracciat­i...». Alfonso Sacchi, il papà del personal trainer di 24 anni ucciso con un colpo di pistola alla testa, non riesce a trattenere le lacrime davanti ai giornalist­i convocati in un hotel non lontano dal luogo dell’omicidio. Un incontro voluto per chiarire alcuni aspetti «raccontati in modo non corretto», come hanno subito precisato i legali. In attesa che le indagini chiariscan­o la dinamica dell’omicidio, il padre risponde alle domande «per chiedere giustizia». E per prendere le distanze da qualsiasi legame del figlio col mondo della droga.

La conferenza stampa

Papà Alfonso, una vita spesa nella ristorazio­ne e gestore di un locale nel pieno centro della capitale, descrive Luca come «un ragazzo pulito, sempre col sorriso, sempre pronto allo scherzo, con tanta voglia di vivere e una grande passione per lo sport». L’uomo chiarisce anche i rapporti tra il figlio e il ragazzo ritenuto il contatto con i pusher: «Si conoscevan­o dai tempi del liceo». Per poi sottolinea­re: «Luca vedeva tutti buoni, io gli dicevo di stare attento, di non fidarsi e di stare attento anche a suo fratello quando usciva». Quel fratello che, ora, «piange sempre». Poi le parole su Anastasia, la fidanzata che era con Luca la sera dell’omicidio: «Per me lei è una brava ragazza, era come una figlia. Spero sia sincera o aggiungere­bbe dolore su altro dolore. Se mente, è una diva di Hollywood». La posizione della giovane ucraina, babysitter di 25 anni, potrebbe però complicars­i. Dopo aver fornito la versione dello scippo finito male — che da subito non ha convinto gli inquirenti — la ragazza verrà interrogat­a di nuovo per dare spiegazion­i sui soldi nello zainetto e sui rapporti con i pusher. «Quando si parla di lei bisogna camminare con i piedi di piombo. Allo stato attuale lei è una persona offesa», spiegano gli avvocati della famiglia Sacchi.

Buchi neri

Eppure ci sono troppi elementi che non tornano: l’effettiva quantità di denaro contenuti nello zaino che i due spacciator­i avrebbero sottratto alla ragazza (le due mazzette da 50 e 20 euro di cui parla il loro intermedia­rio non sono mai state ritrovate) e la dinamica delle trattative per la compravend­ita di marijuana. Al vaglio degli investigat­ori, intanto, ci sono i tabulati telefonici per ricostruir­e i contatti tra i due killer e la coppia di fidanzati. E si aspetta pure la relazione finale dell’autopsia, anche se l’esame autoptico ha già confermato che fatale per Luca è stato lo sparo alla testa e che il giovane è stato colpito con una mazza da baseball, mentre gli esami tossicolog­ici hanno escluso l’utilizzo di droghe. Ma soprattutt­o, si attende che si componga il puzzle di una tragedia dai contorni ancora troppo oscuri.

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Luca Sacchi, 24 anni, ucciso mercoledì sera a Roma. A destra il padre Alfonso durante la conferenza stampa
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