Dal saccheggio di Brescia al manichino nero in curva La deriva degli ultrà Hellas
Viaggio nella tifoseria gialloblù: in curva svastiche e croci celtiche e un legame forte con la destra
Il Ras della curva non c’è. Non esiste a Verona una persona di riferimento riconosciuta da tutti come il capo del tifo più caldo. Esistono diversi individui che si accollano la responsabilità di organizzare trasferte e coreografie, questo sì. Per entrare nel mondo della Sud gialloblù il percorso è molto semplice: vivere quella fetta del Bentegodi come un’iniziazione. Ma non nel senso favolistico con prove fisiche da superare. Semplicemente assistendo a una partita dell’Hellas. E passeggiando per la città tutto ciò viene riconosciuto dai tifosi che si incrociano per strada: «La Curva è un fattore di aggregazione, non è certo la fonte di razzismo perché la città non è razzista».
Origini
I punti di ritrovo del tifo sono rintracciabili in alcuni locali nella zona del Bentegodi. Ieri, di lunedì, chiusi o quasi per nulla frequentati. Il bar come fulcro è una logica conseguenza se si pensa che lo storico gruppo delle “Brigate gialloblù” (sciolte il 14 novembre 1991) nacque proprio al Bar Olimpia (Borgo Venezia, 20’ dallo stadio) nel 1971 grazie a due studenti dei collettivi studenteschi (di sinistra). Il gruppo si è sciolto esattamente 20 anni dopo, nel 1991, a seguito del «saccheggio di Brescia» del dicembre 1986 (la città lombarda venne devastata in occasione di una gara di campionato). La Procura, al termine delle indagini, arrestò 12 veronesi il 1° febbraio 1987 con l’accusa di associazione a delinquere, di fatto sfilando la colonna vertebrale alle Brigate gialloblù. Fu la prima sentenza che mise sullo stesso piano un tifoso e un criminale.
Il manichino
La Curva Sud si ritrova stretta attorno allo striscione «Hellas Army» quando si presenta in trasferta. Un chiaro rimando al mondo anglosassone a cui da sempre si ispirano i tifosi del Verona legati da un’antica amicizia col Chelsea. Anche la curva del Verona è la fotografia della città, così come tutte le curve in Italia. E a Verona la destra è un fattore innegabile, come innegabile è la parte dove pende il sentimento in curva. La Sud si rese protagonista nel 1996 dell’esposizione di un manichino di colore con la testa infilata in un cappio. «El negro i ve là regalà. Dasighe el stadio da netar (traduzione comprensibile dal veronese...)», campeggiava nello striscione vicino. La «dedica» era per Michael Ferrier, centrocampista di colore acquistato per la stagione successiva che alla fine a Verona non arriverà mai. E in questi anni è stato tutto uno sfoggio di svastiche e croci celtiche. Ma non c’è solo politica. Tim Parks, scrittore inglese, dedicò un romanzo al tifo veronese. Tifoso dell’Hellas, già residente in Italia e a Verona da anni, unì l’utile al dilettevole seguendo ogni partita di una stagione dell’Hellas al fianco dei tifosi gialloblù. Ne emerse un quadro pieno di tutto e il contrario di tutto: dagli insulti agli sfottò, dai pregiudizi all’ironia.