Il blasone non gioca Spavalderia e (triste) realtà
Andrea Di Caro
«Champions, crediamoci». Pioli ha peccato di Hybris, la famosa tracotanza dell'epica greca. Il problema è che non ha neanche scatenato l'invidia degli dei, che oggi che vuoi invidiare a questo povero Diavolo. È bastato far arrabbiare Immobile e Correa: sesta sconfitta in 11 partite, peggior bilancio degli ultimi 80 anni. E però se anche il «normalizzatore» Pioli eccede in spavalderia, allora davvero al Milan non è chiara la situazione. Il (buon) senso comune è spesso il meno comune dei sensi. Dopo la gara persa a Roma avevamo consigliato a tutti - società, tecnico, giocatori, tifosi e anche stampa - di lasciar perdere la parola Europa e di guardarsi le spalle. È bastata una vittoria striminzita contro la Spal per rigonfiare il petto e maldestramente parlare di zona Champions. Qualche miglioramento domenica si è intravisto, ma non tale da evitare una sconfitta meritata. E allora forse la prima cosa che deve fare il Milan è dimenticarsi di chiamarsi Milan. Perché in campo non va il blasone ma gli uomini. Oggi la squadra vale l’undicesimo posto che ha in classifica. Pioli sta cercando di dare un gioco a questo gruppo costruito male e di rivitalizzare alcuni uomini: compito difficile. Dalla sua ha esperienza, capacità, equilibrio. Non perda di vista la realtà. Faccia punti, metta insieme 3-4 vittorie e a fine anno, se la classifica sarà meno deprimente, con l'ausilio del mercato (se ci saranno i fondi) si vedrà se è lecito sognare. Fino ad allora meglio volare basso e onorare col massimo impegno la maglia del Milan senza pensare che basti quella per vincere e sognare.