Inter, al di là del muro
NELL’INFERNO GIALLO DI DORTMUND PER GLI OTTAVI, I SOLDI E... LA JUVE Battere il Borussia per avvicinare la qualificazione e i premi Uefa da investire per rendere più competitiva la squadra anche in Serie A. Più Vecino che Sensi
Il 16 aprile 1964, il giorno dopo il 2-2 di Dortmund tra Borussia e Inter, la Gazzetta titolava in prima pagina: «L’Inter resiste a un forcing impressionante». Grosso modo quello che si aspetta stasera Conte. Mazzola e Corso bucarono due volte quel «forcing impressionante», come proveranno a fare Lautaro e Lukaku, e il 2-2 consentì una più serena gestione del ritorno, vinto a San Siro con reti di Mazzola e Jair; 2-0 come quello griffato di recente da Lautaro e Candreva. Superato il Borussia in semifinale, la Grande Inter approdò alla prima finale di Coppa Campioni, vinta al Prater di Vienna sul leggendario Real Madrid. Il Mago Herrera era arrivato alla Pinetina quattro anni prima e, a forza di proclami, cartelli e insegnamenti vari, era entrato nel cuore e nella testa della sua Inter. Aveva ormai forgiato la macchina da trionfi che stava per impossessarsi dell’Europa e del mondo. Antonio Conte invece è arrivato da soli 4 mesi, per questo anche nella conferenza stampa di ieri, come in quella di vigilia a Barcellona, ha speso una parola più delle altre: step. Tutta la sua prima stagione nerazzurra è un enorme step, un gradino da scalare, un percorso di educazione e di crescita. Perché, come successe all’alba dell’Acca Acca interista, deve ancora finire di inculcare i suoi principi, tattici e spirituali, e non ha ancora l’organico che desidera per essere definitivamente competitivo. Luisito Suarez, per dire, arrivò solo al secondo anno di Mago e fu la svolta.
Come al Camp Nou
In questo processo di crescita, le partite di Champions e in special modo quelle in cattedrali emotive, come il Camp Nou o il Signal Iduna Park di Dortmund, sono gradini privilegiati, perché fanno crescere più in fretta. Se l’Inter ha vinto sei trasferte su sei in campionato ed è aggrappata alla Juve è anche perché ha guardato negli occhi il Barcellona senza abbassarli e ha fatto il pieno d’autostima, al di là della sconfitta. L’ottimo primo tempo condotto con la palla ai piedi, mettendo sotto Messi, ha convinto i nerazzurri di potersela giocare alla pari anche a certi livelli. Almeno fino a quando gli altri pescano dalla panca Vidal e Dembelé. Questa è la prima mission di Conte: ripetere Barcellona, imporre un’altra prova di intensità e coraggio, per corazzare la personalità della squadra, buttare nel cuore altre badilate di autostima e accelerare la crescita. In un contesto ambientale non meno inquietante del Camp Nou. Il Muro Giallo del Westfalenstadion lo conoscono tutti. E’ un campo da gioco in verticale (100x40), abitato da quasi 25 mila diavoli gialli che si riducono del 20% in coppa perché la Uefa pretende seggiolini e non corpi compressi. Ma cambia poco. L’effetto parete, premeditato dall'ingegnere che inclinò la tribuna a 37°, è lo stesso. La sensazione resta quella descritta da Klopp: «Esci da tunnel e passi in un lampo dal buio alla luce, ti volti a sinistra e ti sembra che in 150.000 ti corrano incontro». Qui dentro Sensi e Barella dovranno palleggiare gelidi e ispirati come al Camp Nou, dove sembrarono adulti. Se invece, come pare, Vecino sarà preferito in avvio all’ex Sassuolo, appena recuperato, l’opposizione sara più fisica. Qui dentro Lautaro e Lukaku dovranno conservare e spendere bene i palloni in arrivo; qui dentro, la linea di De Vrij dovrà essere più muro del Muro Giallo, perché le vespe di Favre, tra campo e panca, hanno pungiglioni come Gotze, Paco Alcacer e Reus che a San Siro mancavano.
Soldi e mercato
La seconda mission è più concreta: classifica e cassa. Fare punti vorrebbe dire tenersi dietro il Borussia nel confronto diretto e quindi avvicinare la qualificazione. Qualificarsi agli ottavi vorrebbe dire non soltanto procurarsi altri step privilegiati di crescita, ma anche mettersi in tasca gli introiti Uefa che serviranno al mercato. La famosa coperta corta che Conte espone alla finestra appena può. Quella volta a Dortmund, nel ‘64, Herrera spiegò la necessità di turnover per la sua Grande Inter impegnata su più fronti, con parole d’altri tempi: «Devo ripartire su di tutti un’uguale dose di fatica». Agli occhi dei mister di
ogni era le coperte non appaiono mai troppo lunghe.
Lautaro ed Eto’o
Riassumendo, andare oltre il Muro Giallo per l’Inter significa tante cose: superare l’ostilità ambientale; fare il pieno di autostima da reinvestire in campionato; proseguire il percorso di crescita tecnica e caratteriale; semplificare la pratica di accesso agli ottavi; avvicinare i premi Uefa, preziosi per costruire un futuro ambizioso. Ma anche migliorare le proprie attitudini nella competizione: l’Inter ha perso le ultime 3 trasferte in Champions; Conte le ultime 5 su 7 con Juve, Chelsea e Inter. Smentire un trend, significa svoltare. Handanovic lo ha fatto chiudendo la porta al Borussia dopo 9 match di Champions con almeno un gol incassato. Se stasera mette in fila un secondo
clean sheet, si ricollega a Julio Cesar (2010), ultimo precedente. E così Lautaro, se mette in fila la terza partita con gol: ultimo precedente Eto’o (2010). E’ lì che mira Conte, a rinnovare i fasti di Herrera e Mourinho. Per questo chiede un altro step e coraggio contro le vespe gialle del Borussia. Nell’inferno dantesco, vespe e mosconi torturano gli ignavi: è il primo peccato da evitare sotto il Muro Giallo.