La Gazzetta dello Sport

CURVE, VELOCITÀ, AMICIZIA LA SFIDA DI FORD A FERRARI

Da domani nei cinema il racconto della mitica gara di 53 anni fa (e di Ken Miles) con Christian Bale e Matt Damon protagonis­ti

- di Alessio D’Urso - ROMA

ev’essere stato per esigenze di copione, o forse per compiacere l’immagine stereotipa­ta del motorsport tecnologic­o, simboleggi­ato solo dai grandi duelli e dalla pubblicità, ma molti nel raccontare il bellissimo «Le Mans 66» non si sono soffermati abbastanza finora sulla forza del personaggi­o chiave, il pilota Ken Miles, sul suo essere soprattutt­o uomo, sul suo talento non ricattabil­e e su quei sentimenti messi a dura prova dal sistema corse e dai soldi che tutto sembrano poter comprare.

Codice morale

È il romanzo appassiona­nte di un’epoca lungo curve e rettilinei della gara a 300 all’ora più ambita al mondo, il film di James Mangold in uscita domani. Ed è la storia di due grandi amici, Miles interpreta­to dal premio Oscar Christian Bale e Carroll Shelby (Matt Damon), scelti dal gigante Ford per inseguire un sogno a tutti i costi: emulare e battere il know how italiano, il Cavallino rampante di Enzo Ferrari (Remo Girone) emblema mondiale di velocità, successi e anche di un codice morale che impedirà al grande costruttor­e di farsi “acquisire”

dal colosso americano di Henry Ford per dieci milioni di dollari e che lo indurrà piuttosto a rispedire a casa gli alti dirigenti a stelle e strisce accompagna­ndoli alla porta pure con qualche parolina colorita...

Scene cult

Quando Miles parla al figlio, entrambi seduti in pista, con alle spalle un romantico tramonto, ti sembra di vedere un film di Michael Mann col paesaggio tremolante sullo sfondo (Heat – La sfida). O quando, col carisma che solo pochi hanno, il pilota affronta le tensioni familiari e il fallimento della sua officina, lo stesso Mangold decide già di lanciare le sue domande agli spettatori («Non voglio dar risposte»), concentran­do il laser sull’uomo anteposto al rombo delle auto. E quando infine, su scelta proprio del regista, il film si srotola dentro l’abitacolo tra voci, paure e gioia («Perché le corse inquadrate da lontano annoiano e io non le guardo»), il pilota a un certo punto raggiunge anche i 7000 giri con la sua GT40 e tutto intorno qualsiasi cosa svanisce. Rimangono lui e l’io narrante che dice: «Quando vai così veloce ti chiedi solo chi sei». Già. Quasi un’ascensione verso un giudizio divino, l’auto è solo un mezzo e tu, pilota dal cuore grande, sei solo davanti al mistero della vita.

Vittoria e tradimento

La Ford guidata dall’omonimo erede del fondatore vincerà alla fine la sua corsa tagliando il traguardo con tre auto alla pari, ma tradirà i buoni sentimenti di Miles, costretto a rallentare per esigenze di scuderia e sovrastrut­tura. Ed è ancora lì la chiave del film: ti sembra di aver vinto tutto, di aver stravinto, ed ecco invece che hai perso qualcosa di enorme. In quel cenno di ammirazion­e dalla tribuna di Enzo Ferrari sconfitto all’ultima curva nel film nei confronti dell’avversario Miles, “retrocesso al secondo posto”, c’è la morale della storia, il risarcimen­to e la parte per il tutto: la velocità non si compra, o forse sì a rivedere il finale, ma i sentimenti dell’uomo vincono sempre, scavano nella pietra e ti rendono immortale.

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Confronto 1) Ken Miles (sin.) con Carroll Shelby nella 24 Ore del 1966; 2) Matt Damon (interpreta Shelby, a sin.) e Christian Bale (Miles) nel film
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Mitici La Ferrari di Attwood e Piper (a sin.) contro la Ford di McLaren e Amon, che vincerà

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