La Gazzetta dello Sport

LA CRISI DEL MILAN È A UN BIVIO ELLIOTT ORA DECIDA COSA FARE

- di Stefano Barigelli

Fino a quando questo Milan abuserà della pazienza dei suoi tifosi? Quanto altro tempo bisognerà aspettare per rivedere ai propri livelli un club che ha fatto la storia del calcio? Eppure in teoria il Milan avrebbe tutto: un azionista ricco, dirigenti appassiona­ti (Boban e Maldini), d’esperienza (Gazidis), autorevoli (Scaroni). In realtà è una squadra che ha già cambiato allenatore, subìto sconfitte a ripetizion­e e che alla sosta di Natale arriva con la metà dei punti dell’Inter. Un disastro sportivo senza attenuanti. Per cercare di venirne fuori è indispensa­bile prima di tutto che la proprietà decida cosa fare del club oppure è meglio che venda.

Il Milan non si capisce cosa sia: non ha un’identità tecnica, tantomeno societaria. Ha una rosa assortita male, senza una fisionomia precisa. Frutto di un mercato nato da indicazion­i diverse, spesso in antitesi. Un gruppo di giocatori, di cui i migliori eredità del passato, non si sa al servizio di quale idea di gioco. L’umiliazion­e ricevuta dall’Atalanta va oltre il 5-0: i bergamasch­i hanno insegnato come si può giocare e vincere anche investendo poco se hai l’allenatore giusto, idee chiare e sintonia tra area sportiva, dirigenti e azionista. Tutte cose che mancano oggi al Milan. Il fondo Elliott ha 38 miliardi di dollari in asset: un vero impero finanziari­o. Dentro c’è un colosso delle telecomuni­cazioni come l’americana AT&T, delle auto come la coreana Hyundai, investimen­ti in diversi Paesi. Di recente è sbarcato anche in

Italia: ha un’importante partecipaz­ione in Tim e ha conquistat­o il Milan per poche centinaia di milioni di euro. Come è evidente, dal punto di vista contabile il club rossonero è piccola parte nel vasto risiko di Paul Singer. Ma non tutto si misura in dollari o in euro. Il Milan ha nella bacheca 7 Champions: s’è guadagnato il rispetto con la propria storia. Ma se poi vogliamo essere cinici, diciamo che non conviene neppure a Singer abbinare il proprio nome a un fallimento di queste proporzion­i. Come se ne esce allora? Intanto investendo nel mercato di gennaio. C’è il Financial Fair Play d’accordo, ma vanno dati a Pioli i rinforzi che servono per raddrizzar­e la stagione, finanziand­oli magari con alcune cessioni, urgenti quasi quanto gli acquisti. Altrimenti i ricavi continuera­nno a calare e a giugno la situazione non sarà cambiata, anzi sarà anche peggiorata. C’è poi bisogno di un gruppo dirigente coeso: Boban è stato fortemente voluto, ma non sempre è stato sostenuto. Nel calcio contano i numeri, poi però servono le idee, serve chi di calcio sa qualcosa. Lo stadio non può essere l’unico argomento su cui il club dà l’impression­e di essere concentrat­o. Così facendo rafforza il convincime­nto che in realtà Elliott voglia applicare anche nel calcio la propria regola aurea: valorizzar­e così l’investimen­to, poi vendere incassando il differenzi­ale. I milanisti non sono preoccupat­i di dove giocherà il Milan tra cinque anni, ma di cosa farà alla ripresa dalla sosta. Tutti, da Scaroni a Pioli, passando per Boban e Maldini, hanno sempre detto di rispettare i tifosi. Ecco, ora hanno un’occasione per dimostrarl­o. Come? Facendo qualcosa da Milan, per cominciare.

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 ??  ?? In tribuna A Bergamo lo stato maggiore del Milan: Boban, Maldini, Massara, Gazidis e, sotto, il presidente Scaroni
In tribuna A Bergamo lo stato maggiore del Milan: Boban, Maldini, Massara, Gazidis e, sotto, il presidente Scaroni

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