LA CRISI DEL MILAN È A UN BIVIO ELLIOTT ORA DECIDA COSA FARE
Fino a quando questo Milan abuserà della pazienza dei suoi tifosi? Quanto altro tempo bisognerà aspettare per rivedere ai propri livelli un club che ha fatto la storia del calcio? Eppure in teoria il Milan avrebbe tutto: un azionista ricco, dirigenti appassionati (Boban e Maldini), d’esperienza (Gazidis), autorevoli (Scaroni). In realtà è una squadra che ha già cambiato allenatore, subìto sconfitte a ripetizione e che alla sosta di Natale arriva con la metà dei punti dell’Inter. Un disastro sportivo senza attenuanti. Per cercare di venirne fuori è indispensabile prima di tutto che la proprietà decida cosa fare del club oppure è meglio che venda.
Il Milan non si capisce cosa sia: non ha un’identità tecnica, tantomeno societaria. Ha una rosa assortita male, senza una fisionomia precisa. Frutto di un mercato nato da indicazioni diverse, spesso in antitesi. Un gruppo di giocatori, di cui i migliori eredità del passato, non si sa al servizio di quale idea di gioco. L’umiliazione ricevuta dall’Atalanta va oltre il 5-0: i bergamaschi hanno insegnato come si può giocare e vincere anche investendo poco se hai l’allenatore giusto, idee chiare e sintonia tra area sportiva, dirigenti e azionista. Tutte cose che mancano oggi al Milan. Il fondo Elliott ha 38 miliardi di dollari in asset: un vero impero finanziario. Dentro c’è un colosso delle telecomunicazioni come l’americana AT&T, delle auto come la coreana Hyundai, investimenti in diversi Paesi. Di recente è sbarcato anche in
Italia: ha un’importante partecipazione in Tim e ha conquistato il Milan per poche centinaia di milioni di euro. Come è evidente, dal punto di vista contabile il club rossonero è piccola parte nel vasto risiko di Paul Singer. Ma non tutto si misura in dollari o in euro. Il Milan ha nella bacheca 7 Champions: s’è guadagnato il rispetto con la propria storia. Ma se poi vogliamo essere cinici, diciamo che non conviene neppure a Singer abbinare il proprio nome a un fallimento di queste proporzioni. Come se ne esce allora? Intanto investendo nel mercato di gennaio. C’è il Financial Fair Play d’accordo, ma vanno dati a Pioli i rinforzi che servono per raddrizzare la stagione, finanziandoli magari con alcune cessioni, urgenti quasi quanto gli acquisti. Altrimenti i ricavi continueranno a calare e a giugno la situazione non sarà cambiata, anzi sarà anche peggiorata. C’è poi bisogno di un gruppo dirigente coeso: Boban è stato fortemente voluto, ma non sempre è stato sostenuto. Nel calcio contano i numeri, poi però servono le idee, serve chi di calcio sa qualcosa. Lo stadio non può essere l’unico argomento su cui il club dà l’impressione di essere concentrato. Così facendo rafforza il convincimento che in realtà Elliott voglia applicare anche nel calcio la propria regola aurea: valorizzare così l’investimento, poi vendere incassando il differenziale. I milanisti non sono preoccupati di dove giocherà il Milan tra cinque anni, ma di cosa farà alla ripresa dalla sosta. Tutti, da Scaroni a Pioli, passando per Boban e Maldini, hanno sempre detto di rispettare i tifosi. Ecco, ora hanno un’occasione per dimostrarlo. Come? Facendo qualcosa da Milan, per cominciare.