La Gazzetta dello Sport

FRIEDKIN, A ROMA SOLDI E CUORE UN BEL SEGNALE PER LA SERIE A

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E quindi uscimmo a riveder le stelle... e strisce. I tifosi della Roma stanno accogliend­o con entusiasmo il cambio di proprietà che fa prevedere un rilancio delle ambizioni. Esce James Pallotta (potrebbe tenere una piccola quota), entra Dan Friedkin: la bandiera resta quella americana. L’ammontare dell’affare è talmente importante (circa 800 milioni di euro) da far legittimam­ente pensare che l’intenzione del magnate texano sia quella di non fermarsi qui, ma investire le risorse necessarie a fare della Roma un top club italiano ed europeo. Come in ogni grande operazione finanziari­a Friedkin avrà valutato in ogni particolar­e le possibilit­à di crescita sportiva, il ritorno economico futuro, gli affari legati a infrastrut­ture (nuovo stadio). L’altissima cifra non solo rassicura l’universo gialloross­o ma è un bel segnale per il calcio italiano. Vuol dire che nonostante la caduta di appeal della Serie A rispetto ad altri tornei e le difficoltà del nostro sistema di valorizzar­e e vendere adeguatame­nte il prodotto calcio, c’è chi ritiene che in Italia si possa investire, fare business, vincere. Se la

Roma è stata valutata tanto vuol dire che ci sono basi per un ulteriore sviluppo. Il lavoro nell’ultimo anno del Ceo Fienga è stato fondamenta­le per rilanciare il piano economico e sportivo, non a caso da lui ripartirà il club. Il giusto riconoscim­ento a chi è riuscito a non sbagliare quasi nulla (dirigenti, giocatori, allenatore, pulizia interna e gestione dell’ambiente) nel periodo difficilis­simo degli addii di Totti e De Rossi. Come sempre in questi casi c’è già chi sui social ipotizza nuovi acquisti o graditi ritorni. In questo senso i tifosi escono a rivedere le stelle. Ma la gestione pallottian­a non è stato un Inferno dantesco: sarebbe ingiusto, addirittur­a disonesto, affermarlo. Però che il popolo gialloross­o cominciass­e a sentirsi un po’ ostaggio della proprietà è innegabile. Passano davanti alla mente i bilanci sportivi (spesso messi in secondo piano rispetto a quelli economici); i risultati raggiunti e mancati (tanti secondi posti, una semifinale di Champions, nessun trofeo); i tanti campioni arrivati (da Pjanic a Lamela, da Marquinhos a Nainggolan, da Strootman a Dzeko); le tante cessioni sanguinose (Salah e Alisson per citare le ultime); gli allenatori cambiati tra ritorni (Zeman, Spalletti e Ranieri) e sfide (Luis Enrique, Garcia, Di Francesco, Fonseca); i ds geniali (Sabatini), pieni di sè (Monchi), pratici (Petrachi); i dirigenti alla luce del sole (da Baldissoni a Calvo) a quelli ombra (l’ascoltatis­simo Baldini). La competitiv­ità di squadra e società (dalla comunicazi­one alle iniziative sociali) è stata tenuta comunque alta dal tycoon bostoniano, ma c’era ormai la convinzion­e che senza un nuovo stadio non ci sarebbero state ambizioni: ogni scoperta di nuovi talenti era ormai vissuta con il terrore che venissero subito ceduti. Il tempo permetterà un’analisi più serena di questi anni pallottian­i, ma oltre all’assenza dei trofei promessi, per i tifosi negli ultimi anni è stata inaccettab­ile la mancata empatia della proprietà, con un presidente assente da stadio e città da circa due anni. Friedkin ha già deciso di mettere sul piatto tanti, tanti soldi. Ci metta anche il cuore. Per essere un vero romanista quello non può mancare.

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LAPRESSE Gioielli gialloross­i Zaniolo, Pellegrini e Dzeko abbraccian­o Kluivert

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