La Gazzetta dello Sport

Gasp e gli insulti Siamo tutti figli di

- Di Nicola Occhipinti

Siamo tutti neri. Tutti omosessual­i, minatori e immigrati. Quando vogliamo fare sentire la nostra solidariet­à a qualcuno, identifica­rci con lui, o perlomeno tentare di farlo con sincerità, è il gesto più forte che possiamo mettere in campo. Allora, per una volta sentiamoci anche un po’ figli di puttana... Ieri a Firenze l’allenatore della Fiorentina Giampiero Gasperini è stato reiteratam­ente insultato dai tifosi viola, che per una buona parte della partita di Coppa Italia contro l’Atalanta gli hanno dedicato una canzone dal ritornello sempre uguale.

La stessa sorte, sempre nello stadio di Firenze, era toccata ad Antonio Conte lo scorso dicembre perché non sfuggisser­o a nessuno i suoi trascorsi juventini. E una sorte simile tocca prima o poi a tutti i giocatori che calcano gli stadi della Serie A. Perché offendere la mamma dell’allenatore avversario attribuend­ole una profession­e infamante deve essere meno odioso che offendere un giocatore africano facendogli buu? Il razzismo dilagante (negli stadi italiani non ci facciamo mancare niente) è un fenomeno allarmante, una piaga che ci riporta a uomini malvagi e a un passato che vorremmo non incontrare più. Ma non è il caso, a costo di passare per perbenisti, di prendere provvedime­nti contro chi offende reiteratam­ente con cori organizzat­i la dignità delle persone?

L’insulto negli stadi si è sempre sentito a casa. I cori che offendono giocatori, arbitri e tifosi rivali esistono da prima del calcio. Ed entro certi limiti si possono anche considerar­e facenti parte dello show.

Ma una battaglia contro le offese pesanti, con le opportune distinzion­i e sanzioni, darebbe anche alla lotta al razzismo un contesto migliore per essere efficace.

In campo e sulle tribune tutti, bianchi e neri, slavi, ex juventini, sarebbero tutelati nella loro dignità. L’America e altri Paesi ci hanno insegnato che un altro modo di tifare è possibile. Incoraggia­ndo la propria squadra e non umiliando quella rivale. Anche facendosi scherno dei rivali, ma senza insultare la mamma di nessuno.

In tempi di eccessi di atteggiame­nti e parole politicall­y correct che ogni tanto ci fanno perdere di vista il senso di quello che vorrebbero tutelare, a questa battaglia di civiltà non vorremmo rinunciare.

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Un caso Gian Piero Gasperini, 61 anni, bersagliat­o dagli insulti
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