Joe il fenomeno che spiegò all’Italia cos’è il football
Non è stato il quarterback più veloce di gambe. E neanche quello con il braccio più potente. E pur vincendo il titolo universitario con Notre Dame nel 1979, in pochi avrebbero scommesso su quel ragazzo della Pennsylvania che amava allo stesso modo la palla ovale e la palla a spicchi del basket. Tanto che nel draft di quell’anno bisognerà scendere addirittura fino al numero 82 per incrociare il suo nome. Lo sceglieranno i San Francisco 49ers, cambiando la loro storia e quella dello sport. Perché Joe Montana può legittimamente giocarsi le chance per essere considerato, con Tom Brady, il più forte giocatore di football di tutti i tempi. La rapidità ce l’aveva nel pensiero. E per questo ha segnato un’epoca.
Amico di famiglia
Gli americani, che vivono solo per le statistiche, hanno gioco facile a ricordarne i numeri da favola: 83 passaggi completati nelle quattro vittorie al Super Bowl e nessun intercetto, con 11 lanci da touchdown (un record). E poi le 32 vittorie in carriera ottenute recuperando uno svantaggio nel punteggio, che gli sono valse i soprannomi di «Joe Cool», Joe il Freddo, ovvero di «Comeback Kid», il Ragazzo della Rimonta. A dire il vero, tra i giocatori Nfl più grandi di sempre andrebbe considerato anche Jerry Rice, il più sensazionale ricevitore della storia. Dove giocava? A San Francisco. Con quello là dietro a smistare palloni, ha vissuto un’esistenza dorata. Eppure, per noi italiani, Joe Montana è l’uomo che ha portato il football nelle nostre case, l’amico di famiglia che ha reso potabile uno sport pervaso da uno spirito prettamente yankee. Perché all’inizio degli anni 80, quando l’Nfl è approdata per la prima volta sulle nostre tv private, c’era lui a guidare i San Francisco 49ers a successi su successi, facendoci comprendere che l’intelligenza alla fine poteva sempre avere la meglio sulla fisicità brutale. E poi abbiamo scoperto quasi subito che quel cognome, Montana, nascondeva radici italiane, rendendocelo ancor più caro, quasi fosse, in fondo, uno dei nostri. Gli antenati del papà di Joe si chiamavano originariamente Montagni e venivano da Chiari, provincia di Brescia; mentre la madre, Theresa Marie Bavuso, era figlia di immigrati siciliani. Il nonno di Joe, Vincenzo «James» Bavuso, era nato a Cianciana in provincia di Agrigento. Dopo la carriera da giocatore, per Joe le vacanze nel nostro paese si trasformeranno in una piacevole abitudine: «L’Italia è sempre un posto meraviglioso da visitare, mi sento davvero a casa». Il sole, i colori, il profumo della terra degli antenati ha poi provato a riprodurli nella tenuta in California dove è diventato un eccellente produttore di vini: «Richiede molto più lavoro una bottiglia di vino che mandare un compagno in meta. Quindi è sicuramente più eccitante il vino».
Icona culturale
Orgogliosamente, abbiamo finito per adottare non soltanto un favoloso giocatore di football, ma un’icona popolare. La sua maglietta da gioco numero 16 è un oggetto di culto come la 23 di Michael Jordan e la 99 di Wayne Gretzky, il dio dell’hockey. E poi non capita a tutti di finire in tv nel programma che celebra i 50 anni dei Peanuts: nell’apparizione, Joe Montana consiglia (inutilmente...) a Charlie Brown di aspettare un attimo prima di calciare il pallone ovale che sicuramente Lucy gli avrebbe tolto. E ancora: nel 1983, un anno dopo che Joe ha vinto il primo Super Bowl della carriera, nel film di culto «Scarface» il protagonista, interpretato da Al Pacino, si chiama Tony Montana, un omaggio al giocatore dello sceneggiatore Oliver Stone, tifosissimo dei 49ers. Per finire: a chi non piacerebbe che il nome di un paesello gli venisse dedicato, in vita, e senza alcun legame con il posto. Ebbene: nel 1993 Ismay, nello stato del Montana, ottenne la deroga per mettere, nei cartelli, la semplice scritta Joe, Montana. E poi non dite che non stiamo parlando di una leggenda.