Commento di Vernazza
La Juve ha demolito un’Udinese in gita, la pochezza dell’avversario impedisce di annunciare che il sarrismo ha attecchito a Torino: serviranno altri test più credibili. Il gol dell’1-0 di Higuain, bello, bellissimo, anzi meraviglioso, si presta però a una doppia lettura. La prima - evidente, chiara, solare - dice che nei passi di tango tra Dybala e Higuain, un “dai e vai” infinito per i tempi del calcio di oggi, si è sublimata la tecnica di due campioni assoluti, la loro capacità di dialogare in punta di piedi, di essere precisi nel tocco e lucidi nel pensiero, di ridurre i difensori a spettatori non paganti. La seconda interpretazione è più nascosta, rimanda alle esercitazioni quotidiane: l’essenza del calcio di Maurizio Sarri è racchiusa nei triangoli, le sue squadre sono triangolari perché avanzano con sponde continue, veloci, vorticose.
Al Napoli il “triangolismo” si coglieva con nitidezza, al Chelsea meno. Sarri ha festeggiato l’1-0 di ieri con un largo sorriso, con la faccia soddisfatta dell’allenatore che in quel triangolo inarrestabile ha riconosciuto la propria idea di pallone. Sovrabbondanza di tecnica, potenziata dall’addestramento giornaliero. Questa è la scommessa, legare i grandi giocatori a un grande gioco. L’1-0 di ieri sera è un segnale importante di “sarrizzazione” in corso, e perdonate il brutto neologismo. L’Atalanta si è presa una pausa da se stessa, dalla furia demolitrice che la possiede. Ha pagato l’intensità fisico-mentale dell’anticipo di sabato contro l’Inter. Gasperini è incocciato nel “risultatismo” che Beppe Iachini ha trasmesso alla Fiorentina. Non che Gasp sia un “giochista” disinteressato alla vittoria, tutt’altro, ma Iachini ha il ghigno di chi non si offende se gli fanno notare che la sua squadra ha vinto di contropiede. Sarri e pochi altri esclusi, nel calcio italiano soffia il vento del riflusso, l’eterno ritorno del pragmatismo. D’estate tutti o quasi vagheggiano di “guardiolismi”, d’inverno si ricorre agli aggiustatori esperti come Iachini e
Ranieri. Trentaduemila tifosi a San Siro in un tardo e freddo pomeriggio feriale, con Ibra annunciato in panchina e lì rimasto: la voglia di Milan resta alta, sarebbe un peccato sprecare tanta passione. Fate presto a riportare la squadra in alto. Il Milan B ha dominato la Spal C e qui c’è da chiedersi perché le cosiddette provinciali guardino la Coppa Italia con aria annoiata. Se stasera il Parma non batterà la Roma, entreranno nei quarti sette delle otto teste di serie del tabellone, qualificate di diritto agli ottavi perché sono state le prime otto classificate della scorsa Serie A. Per ora l’unica a non farcela è stata l’Atalanta, ingolosita dalla Champions e adesso provinciale per modo di dire, e comunque è andata avanti la Fiorentina, che piccola non è. Proprio la storia dell’Atalanta ci regala un assist. Nel lontano 1986-87 la Dea, allenatore Nedo Sonetti, retrocesse in Serie B e però arrivò in finale di Coppa Italia. Battuta dal Napoli di Maradona, partecipò lo stesso alla Coppa delle Coppe della stagione successiva, dato che gli azzurri vincitori dello scudetto entrarono in Coppa Campioni. L’Atalanta 1987-88, squadra di Serie B allenata da Emiliano Mondonico, arrivò alla semifinale di Coppa delle Coppe, eliminata dal Malines. Perché la Coppa Italia non genera più traiettorie così belle e imprevedibili? La risposta “altri tempi” non vale, il livello tecnico della Serie A degli Anni Ottanta era di molto superiore. Sospettiamo che la logica sia commerciale, per le piccole è meglio spendersi a difesa della ricca fetta di torta dei diritti tv del campionato. La Coppa Italia non è più cosa per ribelli e sognatori.