La Gazzetta dello Sport

Caccia all’Orco

-

L’Eiger e Wengen. Vale a dire l’Orco delle Alpi Bernesi che si staglia imponente nell’Oberland, la vallata dove si adagia la principess­a dello sci. Questa storia ha due protagonis­ti. C’è la montagna assassina, uno sbuffo di metri (30) sotto i 4000. Per decenni ha attirato gli alpinisti più audaci in una sfida al limite (in palio gloria o morte), disputata lungo lo specchio della parete Nord: un chilometro e ottocento di ghiaccio, rocce, speroni, crepacci, trappole. E c’è una faccia molto più rassicuran­te: ha occhi dolci, chalet perfettini e treni a cremaglier­a. Così si arriva a Wengen (l’auto è bandita), località coi ristoranti­ni alla moda, gli hotel con le spa e le piste interminab­ili, come la Lauberhorn dove si può sognare di essere un campione. E durante l’aperitivo, i turisti mettono in azione i binocoli per osservare l’orco e le fatiche di chi prova a domarlo. Questa è la storia del tedesco Toni Kurz, dei lecchesi

Claudio Corti e Stefano Longhi, del patriarca degli scalatori Riccardo Cassin, di un’anima libera come Walter Bonatti. Questa è la storia di Ernest Grestsch, di Zeno Colò, Herbert Plank, Franz Klammer, Kristian Ghedina, Christof Innerhofer e speriamo di Dominik Paris. Iniziamo da qui.

Classiciss­ima

Un paragone spiega il posto di Wengen nello sci: sta come la Milano-Sanremo al ciclismo, come la finale di Champions al calcio, come Roland Garros al tennis. Una classica che più classica non si può. Oggi la combinata darà il via alla tre giorni svizzera di gare (domani la discesa, domenica chiusura con lo slalom) con Paris a caccia di punti per coltivare ambizioni di Coppa del Mondo. Wengen sarà invasa da tifosi di ogni nazionalit­à. Tradizione che si ripete dal 1930, anno in cui Grestsch (presidente dello ski club locale) firmò il documento di fondazione della gara, dando via alla leggenda. Non c’è altro modo per definire la Lauberhorn, pista infinita: 4270 metri. Gli atleti arrivano al traguardo svuotati. E allora vince chi ha classe, fiato e pazienza, perché l’errore è dietro ogni curva. Gli italiani hanno domato la Lauberhorn 5 volte. Il primo è stato Colò nel 1948, poi Plank nel 1976. Prima, insieme (nel 1976 discesa doppia) e dopo, Wengen diventa il regno di kaiser Klammer: tripletta e tutti a casa, nel senso che in Coppa come lui nessuno mai. Ghedina c’è andato vicino. Doppietta nel 1995 e 1997, col fiore all’occhiello del record della pista: 2’24”23. Un tempo ora fuori portata per le modifiche apportate in nome della sicurezza che però non hanno impedito a Johan Clarey di stabilire il primato della velocità: quasi 162 km all’ora sull’Hanneggsch­uss. L’ultimo azzurro a trionfare è stato Innerhofer nel 2013, che domani sarebbe al debutto stagionale.

Tragedie e finzioni

L’Orco. Non ci siamo dimenticat­i di lui. Impossibil­e. Tante vite si è mangiato, ingoiandol­e nei crepacci oppure schiaccian­dole con una scarica di massi. Hanno perso la vita i migliori, come il tedesco Toni Kurz. Nel 1936 la parete Nord dell’Eiger è ancora inviolata. Se c’è un uomo che può farcela quello è Kurz. Ad accompagna­rlo c’è Hinterstoi­sser. Sono Ronaldo e Messi dell’alpinismo. Attaccano la parete il 18 luglio, ai due si uniscono gli austriaci Rainer e Angerer. Vanno su spediti, commettono un errore fatale: non lasciano corde fisse convinti di scendere dal

l’altra parte. Ma l’orco non ci sta. E colpisce al secondo giorno di scalata: a valle c’è un sole estivo, in quota si scatena la tormenta. Una frana di sassi investe Angerer, lo ferisce alla testa. I compagni lo trascinano, ma rallentano la marcia. E il tempo è un nemico. Il 20 luglio i 4 decidono di tornare indietro, ma si rendono conto che senza corde fisse è impossibil­e. La sola via di salvezza è calarsi per 500 metri, fino alla finestra scavata nella roccia dallo Jungfrau, una meraviglia di ferrovia che buca Eiger e Monch per portare i turisti alla stazione più alta d’Europa (3.454 metri). Proprio da quel buco si affaccia il guardiano dei treni. «Tutto bene?», chiede.«Sì, tra un po’ siamo giù». Non va così. Si abbatte una slavina: Hinterstoi­sse, slegato, si perde nell’abisso; Angerer e Kurz restano appesi nel vuoto, il primo muore sbattendo la testa contro la parate; Rainer è schiacciat­o dal peso dei due corpi: soffoca in pochi minuti. Resta Kurz: penzoloni nel vuoto. Le squadre di soccorso non possono arrivare da lui. Toni sopravvive alla notte, per salvarsi deve risalire la parete e calare una corda alle guide alpine. Riesce nel miracolo, nonostante una mano congelata. Annoda una corda e poi una seconda che dovrebbe portarlo in braccio ai soccorrito­ri. Dopo 4 giorni inicedono zia la discesa, ma a 15 metri dalla vita, si blocca: il nodo che unisce le due corde non passa dal moschetton­e. È troppo grande. Kurz tenta per ore di sbloccarlo, poi scuote il capo: «Ich kann nicht mehr», «Non ne posso più». Solo nel luglio 1938 l’orco perde: a sconfigger­lo, dopo tre giorni di battaglia, i tedeschi Hackmair e Vorg con gli austriaci Harrer e Kasparek. Ma l’Eiger continua a uccidere e nell’agosto 1957 la tragedia investe l’Italia: il lecchese Longhi sale in compagnia di Corti, il Ragno di Olginate. Si uniscono ai tedeschi Nothdurf e Mayer. Durante l’arrampicat­a, Longhi ferito e con le mani congelate è lasciato su una cengia; poco dopo anche Corti molla: i due tedeschi gli la tendina e proseguono. Longhi muore e il suo corpo resterà per due anni esposto e visibile sulla parete, Corti è salvato da una squadra di prim’ordine (c’è pure Cassin) e deve la vita alla tendina. I tedeschi periscono assiderati nella discesa dopo aver raggiunto la cima, i corpi ritrovati nel settembre 1961 scagionano l’italiano da un’accusa terribile: aver rubato ai compagni il loro bene più prezioso. Corti vivrà fino al 2010, portandosi dietro fantasmi e incubi di quella spedizione. Molto diverso l’epilogo della sfida di Bonatti all’Orco: nel luglio 1963 prova in solitaria ad arrivare in cima, ma quando si scatena la bufera, torna giù. Ai turisti delusi sussurra: «Nessuna montagna vale la vita di un uomo». Deve averlo pensato pure Eastwood che qui nel 1975 ha girato Assassinio sull’Eiger. Voleva fermare tutto dopo la morte di uno stuntman, ma non l’ha fatto, lasciandoc­i un film epico. Non tanto per la storia (Clint è un killer dà la caccia alla sua vittima), ma per alcune scene adrenalini­che tra rocce, neve e ghiaccio. Un duello alla Sergio Leone, senza pistole. Con l’Orco nella parte del cattivo.

Lunga e veloce Clarey volò a 162 km/h. Il record a Wengen è di Ghedina: 2’24”33

Lutti e cinema La tragedia del 1936. Eastwood girò «Assassinio sull’Eiger»

s

TEMPO DI LETTURA 5’19”

 ?? AFP ?? La parete nord: 1800 metri Christof Innerhofer sulla Lauberhorn. Sullo sfondo la mitica parete Nord dell’Eiger («l’Orco»), 1800 metri verticali, un problema alpinistic­o risolto solo negli Anni Trenta
AFP La parete nord: 1800 metri Christof Innerhofer sulla Lauberhorn. Sullo sfondo la mitica parete Nord dell’Eiger («l’Orco»), 1800 metri verticali, un problema alpinistic­o risolto solo negli Anni Trenta
 ??  ??
 ??  ?? Kristian Ghedina 1995
Si impone su Rzehak
Kristian Ghedina 1995 Si impone su Rzehak

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy