MARTELLO DJOKOVIC VINCE IN AUSTRALIA E TORNA N° 1: «VOGLIO IL RECORD DI SLAM»
di Crivelli, Mouratoglou
Il dio delle terre australi squarcia il cielo di Melbourne dopo quattro ore spaccate, illuminando una notte che a metà della strada si stava facendo scura e fredda. Non era mai accaduto, a Novak Djokovic, di recuperare una finale dello Slam da due set a uno per l’avversario (0-7 il record) e dunque ci voleva il personale giardino dell’Eden, il cemento più amato, il torneo del cuore per esorcizzare la maledizione e restare sul trono salendo sull’ottovolante. Gli Australian Open, dunque, ora più che mai sono il Major del Djoker, come
Parigi è la reggia di Nadal e Wimbledon quella di Federer. Gli eroi immortali, infiniti, che hanno conquistato gli ultimi 13 Slam di fila e 57 degli ultimi 66. Per la disperazione di Thiem, lo sconfitto che aveva creduto nella rivoluzione, l’ha accarezzata e alla fine se n’è uscito mortificato: «Non è mai accaduto nella storia dello sport che i tre migliori di sempre giocassero nella stessa epoca. Capite quanto è difficile per gli altri? Ci sono andato vicino, state certi che ci riproverò».
La mentalità
Giusta speranza, perché a differenza di un anno fa, quando travolse Rafa con la tempesta perfetta, stavolta Nole, sul ciglio del baratro e con addirittura il fardello di due warning di fila e conseguente lite con l’arbitro («Bravo, hai avuto il tuo minuto di gloria»), si affida a una dote che non si allena, ma che ti porti dentro: la testa. A fine terzo set, senza energie, svuotato, Djokovic sembra la vittima sacrificale di un Thiem che ha i piedi ben dentro il campo, giganteggia con il servizio e il dritto e sfrutta l’esuberanza fisica del duro lavoro invernale. Eppure, resettati i fantasmi con un time out medico molto tattico e il beverone energetico preparatogli dall’angolo, il serbo risale, annulla una delicatissima palla break nel terzo game del quarto set con il serve and volley (Ivanisevic docet) e comincia a tessere una ragnatela che disinnesca la potenza e l’arroganza tecnica di Dominator. E quando concede due palle del controbreak nel quarto game del quinto set che riporterebbero in vita l’austriaco, si inventa la magia di un altro serve and volley e di una smorzata al bacio. L’apoteosi, la sublimazione di quella mentalità esaltata da Kobe Bryant, l’amico perso tragicamente e ricordato con le iniziali e i numeri 8 e 24 sulla tuta: «La tragedia che l’Australia ha vissuto in questo 2020 con gli incendi, e la morte di Kobe, che per me è stato un mentore durante il periodo buio dell’infortunio, dovrebbero aiutarci a ricordare che ci sono cose più importanti nella vita di una partita di tennis. Io sono cresciuto nella Serbia piena di guerre degli anni 90, dove dovevamo aspettare in fila il latte, il pane, l’acqua per sopravvivere. Sono che cose ti rendono più affamato di successo in qualsiasi cosa tu faccia. Mi ricordo sempre da dove sono partito e mi dà la motivazione per andare avanti. È sicuramente una delle ragioni per cui trovo sempre una marcia in più nelle avversità». A consegnargli il trofeo, guarda caso, sarà Marat Safin, che 15 anni fa, sulla via del suo trionfo agli antipodi, strapazzò al primo turno lo sbarbatello diciassettenne concedendogli appena 3 game.
I tre migliori di sempre sono della stessa epoca e per gli altri è dura
Verso la leggenda
Ma già da quel pomeriggio, negli spogliatoi si affacciò un ragazzetto con la bruciante ambizione di scrivere la storia: «Sognavo di vincere più Slam possibili». Siamo arrivati a 17, a tre da Federer e a due da Nadal, con il vantaggio dell’età e di una sete di successi che sembra inestinguibile. In più, è il primo giocatore dell’Era Open ad averli vinti in tre decadi e il secondo della storia dopo Rosewall. Nel 2020 Nole è ancora imbattuto (13 match, alla faccia della doppia scaramanzia), e il trionfo australiano gli restituisce, per la quinta volta, il numero uno del mondo, con appena 135 punti da difendere da qui alla stagione sul rosso. Se dovesse rimanere in vetta fino al 20 aprile, raggiungerebbe Sampras a quota 286 settimane (secondo assoluto), e anche Federer a 310 non appare più così lontano (5 ottobre, se Nole resterà primo così a lungo). Ma le vie che portano all’essenza del tennis passano da altri lidi: «Il numero uno è un grande obiettivo, ma in questo momento della carriera gli Slam sono la cosa più importante. Hanno la priorità. Voglio superare Roger e Rafa, anche se ho grande rispetto per quello che loro due rappresentano dentro e fuori dal campo». Una generazione irripetibile, che Medvedev agli Us Open e Thiem a Melbourne hanno solo provato a scalfire, provando sulla propria pelle cosa separi un campione da un fuoriclasse. E il Djoker ci fa sapere che non finisce qui: «Penso che non capirò mai davvero tutto ciò che sto facendo fino al giorno in cui mi ritirerò». Per entrare in paradiso.