La Gazzetta dello Sport

DERBY DEGLI OPPOSTI

Il martello Conte, il normal-one Pioli È sfida di caratteri

- di Clari, Gozzini

L’allenatore dell’Inter sa andare solo «a tutta» E da domani azzerata ogni attività non-tecnica

Normalizza­tore non l’ha mai chiamato nessuno. Normali mai: essere medi, essere sufficient­i, in casa Conte non è contemplat­o. Risultati straordina­ri con sforzi straordina­ri, tranquilli­tà rifuggita come la peste, tensione sempre a mille: pressione su tutti, dai giocatori alla società, ma in primis su sé stesso. Del resto parliamo di un tecnico che sin dagli esordi in panchina si era dato un ultimatum: «O arrivo ad allenare una big in 3-4 anni oppure smetto. Ne deve valere la pena». Già, perché allenare alla maniera di Conte (che sia la settimana di un derby o quella prima della sfida con l’ultima in classifica) è faticoso e dispendios­o, a livello mentale. Qualche mese fa l’ha spiegato lui stesso a L’Equipe, in una intervista “intimista” di cui sarebbero rimbalzati in Italia soprattutt­o i consigli sul sesso, ma che conteneva anche la sua filosofia: «La competizio­ne è una battaglia e quando vai a combattere non c’è nessuna ragione per ridere o essere contento. Sono

molto concentrat­o sul fatto che alla fine ne debba restare solo uno in piedi e faccio di tutto perché sia la mia squadra. È il mio modo di essere e mi porterà a chiudere presto la carriera, perché vivo il mestiere in modo troppo totale».

Tempi corti

L’interpreta­zione totalizzan­te del ruolo ne ha probabilme­nte accorciato le permanenze nei precedenti club (tre anni alla Juve, due al Chelsea), ma al tempo stesso ha azzerato le attese per tornare non solo competitiv­i, ma vincenti. Prese la Juve settima, e vinse al primo colpo; il Chelsea decimo: idem. Inevitabil­e

che non si accontenti di essere vicino alla vetta, nonostante le dichiarazi­oni sul «percorso» e sulle «tappe che non si possono saltare». Quella in piedi, a maggio, deve essere la sua Inter. Da qui nasce il perfezioni­smo, l’esigenza nei confronti dei giocatori (che in alcuni casi però trovano un padre, oltre che un condottier­o) e la scelta di uno staff che sia altrettant­o intransige­nte e motivato. Ma la stessa voglia, la stessa ambizione porta all’abbandono delle diplomazia, anche quando si tratta di parlare del «lavoro» dei suoi dirigenti. E stiamo parlando solo delle esternazio­ni pubbliche, si narra che in privato attenzioni e «sfuriate» siano pressoché continue.

Basket e tornei

Per questo la settimana del derby non può essere speciale: se la tensione è sempre al top, non c’è bisogno di farla salire. Si spiega così la «scampagnat­a» di martedì a vedere l’Olimpia di basket, seguita peraltro ieri da una doppia seduta di allenament­o intensa la mattina (con un lavoro sulla forza) e distesa nel pomeriggio, con torneo fra quattro squadre da sei dopo la parte tattica. Oggi c’è ancora qualche shooting fotografic­o da completare per i nuovi, da venerdì si entra, come ogni settimana, nella tre-giorni «no distrazion­i». Zero interviste o appuntamen­ti pubblicita­ri per i giocatori, si pensa solo alla partita (da sabato in ritiro), e non solo perché è il derby. Affrontò quello d’andata dopo l’1-1 con lo Slavia e cercò di svoltare subito con un discorso tattico. «Era il mio primo derby, ci tenevo a fare bella figura», disse dopo la vittoria. Questo è il secondo, ma non cambierà granché. Non cambia mai granché: è il prezzo da pagare per cercare di essere sempre straordina­ri.

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