Rebic forza 5
IL MILAN RIPARTE E VEDE L’EUROPA ANTE, ALTRO GOL IL TORO LOTTA MA NON BASTA
I rossoneri si riscattano dopo il k.o. nel derby: con una rete del croato, la quinta in 5 gare, prendono Verona e Parma. Per i granata 5° k.o. consecutivo
Il Milan risale, aggancia Verona e Parma al sesto posto. Nulla di eccitante per chi espone sette Champions in bacheca, ma qualcosa di importante in questa stagione di passaggio, perché al di là dei punti e delle posizioni di classifica da qualche tempo si vede un’idea di Milan, un’identità tecnica e tattica. L’unica perplessità, in senso buono, resta Ibrahimovic: non vorremmo che Zlatan fosse la foglia di fico e coprisse certe carenze strutturali. A gennaio si è fatto carico della squadra, l’ha risollevata. Qui sta il nodo più grosso. Data l’età avanzata, in estate non si potrà ripartire in tutto e per tutto da Ibra, bisognerà affiancarlo o sostituirlo con qualcuno di analogo spessore. Rebic è arrivato al quinto gol in 13 presenze di campionato, è sempre più calato dentro questa realtà e sarebbe un peccato disperdere tanta integrazione. Il suo prestito dall’Eintracht è biennale, nulla di urgente incombe, ma un ragionamento sul definitivo riscatto forse andrà fatto. Il Torino precipita: quinta sconfitta consecutiva in A e appena cinque punti di margine sul Genoa terzultimo. A San Siro, però, si sono intravisti dei bagliori, ci sono stati spezzoni di accettabile Toro. È mancato l’attacco: unico tiro in porta un colpo di testa centrale da parte di Belotti.
Primo tempo
L’aggressività è diventata la cifra del Milan di Pioli. Mordere, pressare in alto, appoggiarsi a Ibra sono i nuovi principi di gioco. Sono stati applicati nel primo tempo del derby contro l’Inter, a lungo contro la Juve in Coppa Italia e ieri per 45 minuti contro il Toro. Qualcosa è cambiato, Pioli ha tirato fuori la squadra dalle secche dell’imbarazzo e dell’indecisione. Oggi c’è uno spartito, una via da seguire. L’infortunio di Calhanoglu ha ridato una chance a Paquetà, per di più nei suoi territori, sulla trequarti dietro a Ibra. Gli esiti sono stati contraddittori, anzi paradossali: il brasiliano è piaciuto per la voglia di riconquistare palla nelle transizioni, ma è venuto meno in rifinitura, con diversi palloni spesi male, fuori sincrono e fuori misura. L’impressione è che per il nostro calcio Paquetà resti un giocatore indefinito, neutro, non ancora abbastanza trequartista e non ancora abbastanza interno, una pericolosa via di mezzo. Il Milan ha meritato il vantaggio, arrivato con Rebic su cross di Castillejo, anche se il Toro ha protestato a lungo per un presunto fallo dello stesso Castillejo su Berenguer all’origine dell’azione. Niente spregiudicatezza né 34-3, Longo ha disposto il Toro con un più prudente 3-5-2. Berenguer si muoveva sulla linea dei centrocampisti come mezzala sinistra, Eder giocava all’ombra di Belotti. La scelta non ha pagato all’inizio, quando il Toro è rimasto in soggezione di fronte all’onda d’urto milanista. C’è stata però una reazione verso la fine dei primi 45’, Lukic ha preso in mano il gioco e la squadra è riuscita ad affacciarsi in area. Rincon è un regista di molta lotta e poco governo, ai granata manca chi faccia fluire meglio il gioco per vie centrali.
Secondo tempo
La durata è il limite del nuovo Milan di Pioli. Pressioni coordinate e atteggiamento aggressivo durano un tempo, massimo 5055 minuti. Poi si manifesta la flessione e se la squadra non chiude il portone con la seconda rete, va in sofferenza. All’inizio della ripresa Ibra e Castillejo hanno mancato il 2-0, ma con una differenza: il tiro dello svedese è stato superlativo ed è uscito di niente, mentre lo spagnolo il gol se l’è divorato. Ad ogni modo, il Toro è scampato al k.o. e per 20-25 minuti si è impossessato della partita. Longo ha fatto leva sulle fasce, perché le fondamenta sono mazzarriane e la trazione è laterale. Da sinistra e da destra sono piovuti palloni invitanti, però è mancato l’uomo che impattasse quei palloni. Lo ha fatto una volta Belotti, di testa, e stop, per il resto la fiera dei cross perduti. Longo ha tolto Edera e inserito Zaza nella speranza che l’ex azzurro, di rientro dall’infortunio, ritrovasse l’antica vena, ma Zaza si è rivelato innocuo ed è finito nelle grinfie dell’inedito duo GabbiaRomagnoli. Serviranno altri più impegnativi test, però la prima impressione è nitida: Gabbia sembra un difensore già strutturato. Il finale ha oscillato tra la voglia di sopravvivenza del Toro e l’istinto di conservazione del Milan. Longo ha inserito Aina e Millico per un ultimo assalto, però il Diavolo ha tenuto duro, non ha ceduto alla paura. È un Milan rinascente, neppure lontano parente dei Milan dell’età dell’oro, però ispira simpatia perché ci mette tutto , con fierezza e dignità.