La Gazzetta dello Sport

Missione stellare

LA LAZIO E LA SUA PAZZA IDEA NESSUNO CI CREDEVA, MA ORA...

- di Stefano Cieri - ROMA

Il gruppo Coesi in campo, amici fuori: ora la cena per i 30 anni di Immobile

Il tecnico Inzaghi come Maestrelli. Il primo a credere nell’impresa

Da utopia a obiettivo concreto: lo scudetto non è più tabu. I segreti di una squadra moderna dall’anima antica. Il patto dopo i due k.o. alla Juve

Ora o mai più. Perché è vero che l’obiettivo di partenza era (e resta) la qualificaz­ione in Champions. Ma un’occasione del genere, con una squadra così completa e matura, non può non essere colta. E la Lazio, al di là delle dichiarazi­oni ufficiali, ha deciso di farlo. E ha deciso di farlo già da un po’, almeno da quando, a dicembre, ha battuto la Juve due volte nel giro di quindici giorni, prima in campionato e poi in Supercoppa. Ma adesso, dopo aver battuto anche l’Inter e dopo essersi piazzata al secondo posto ad un solo punto dalla capolista bianconera, quell’imperativo diventa ancora più pressante, sempre più concreto.

Il patto segreto

La Lazio, insomma, allo scudetto ci crede. «L’obiettivo è la Champions, ma vogliamo lottare per il tricolore», ammette Lucas Leiva. E non potrebbe essere altrimenti. Perché alla straordina­ria cavalcata di cui i biancocele­sti sono protagonis­ti in campo (la classifica delle ultime 19 partite li vede davanti alla Juve di 5 punti e all’Inter di 8) si unisce un’alchimia unica che si è creata nello spogliatoi­o e che è diventata il valore aggiunto. Più dei gol di Immobile, delle pennellate di Luis Alberto, della classe di Milinkovic, della determinaz­ione di Acerbi. Un clima speciale che è nato già nel ritiro di Auronzo e che è sopravviss­uto alla crisi di settembre quando tra coppa e campionato arrivarono tre sconfitte in quattro partite. È in quel momento, quando tutto si sarebbe potuto sfaldare, che è stato siglato il primo patto di spogliatoi­o. Non si parlava ancora di scudetto, ovvio. L'asticella è stata alzata un mese dopo, grazie al pari in rimonta sull’Atalanta. E poi, definitiva­mente, con la doppietta di dicembre sulla Juve.

Come una famiglia

«Il nostro segreto? Siamo come una famiglia». Milinkovic lo ha detto con tutta la naturalezz­a del mondo dopo il successo sull’Inter. Parole che tante volte si sentono, ma che mai come in questo caso sono vere. Il gruppo c’è e si vede. In campo, dove tutti si aiutano. Nell’intervallo del match di domenica la Lazio è tornata dagli spogliatoi con qualche minuto di anticipo, aspettando in campo il rientro dell’Inter. Proprio come nel famoso Lazio-Verona del ‘74. Identico il «movente»: tutti uniti per aggredire subito una partita in cui ci si sentiva ingiustame­nte in svantaggio. Ma il gruppo c’è e si vede pure fuori dal campo. Un esempio? Giovedì Immobile compie 30 anni. Li festeggerà al Teatro Brancaccio insieme con la squadra con un party a tema. Una serata speciale, che ricorderà la cena di Natale e la cerimonia (a Castel Sant’Angelo) per i 120 anni del club.

Antico e moderno

Tutte occasioni che sono servite (e servono) a cementare ulteriorme­nte il gruppo. Come le grigliate a Formello, per le quali la partecipaz­ione è facoltativ­a, ma alle quali nessuno manca mai. Frammenti di un calcio antico e forse proprio per questo vincente. La Lazio di Inzaghi, in effetti, è una squadra moderna quando gioca, vecchio stampo nella sua anima. Ha una catena di comando cortissima (Lotito-Tare-Inzaghi), come si usava un tempo. Fa il precampion­ato sulle Dolomiti anziché inseguire i cachet delle tournée estive. Ha una rosa giusta, anche se forse un po’ corta.

Ma in questo modo nessuno fa polemiche, tutti si sentono coinvolti. Ha un monte ingaggi umano. Antica nell’animo, moderna nel gioco. Il calcio di Inzaghi viene definito pragmatico. Ma sarebbe meglio dire camaleonti­co. Perché la sua squadra riesce a giocare più partite all’interno della stessa gara. Sa essere spettacola­re quando vuole, arcigna quando serve.

Uno più undici

Il tecnico è la sintesi perfetta di tutto. Allenatore che a volte sembra venire da un altro calcio (e infatti l’accostamen­to con Tommaso Maestrelli è ormai accettato da tutti), per come tratta i giocatori, per il rapporto simbiotico che ha con l’ambiente. Ma poi è modernissi­mo nella declinazio­ne del suo lavoro. Attento ai particolar­i, maniacale nella cura dei dettagli, pronto a sfruttare tutto ciò che può tornare utile dall’uso delle nuove tecnologie. Ed abilissimo a coordinare il lavoro di uno staff di dieci persone. Ma, soprattutt­o, primo a credere in quell’utopia scudetto che si è incredibil­mente trasformat­a in un obiettivo possibile. Lo disse a Lotito l’estate scorsa al momento di rinnovare il contratto. E riuscì a convincere il presidente che inserì un bonus scudetto nell’accordo. Sembrava una trovata mediatica. E invece...

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