L’Uefa contro le plusvalenze “artificiali” Italiane a rischio?
La stangata al Manchester City, escluso per due anni dalle coppe per le sponsorizzazioni gonfiate, fa ancora discutere tutto il calcio europeo. Le implicazioni economiche e politiche nel sistema sono notevolissime, dagli esiti imprevedibili. Nel frattempo l’Uefa ha deciso di drizzare le antenne su un’altra distorsione del business pallonaro: le plusvalenze fittizie. Sebbene sia ancor più difficile di un contratto commerciale con parte correlata stabilire se un’operazione di mercato si è consumata a prezzi di mercato oppure no, il Club Licensing Committee presieduto da Michele Uva sta studiando il dossier e cercherà di trovare il meccanismo più efficace di controllo, da implementare nel prossimo autunno nel regolamento del fair play finanziario. In generale si punta ad arginare un fenomeno dilagante in tutta Europa: il ricorso eccessivo al trading dei calciatori, le cui entrate (al pari dei diritti tv o della biglietteria) sono rilevanti per il calcolo del “break even”, cioè la regolacardine del fair play per la quale i club partecipanti alle coppe europee e monitorati dall’Uefa devono registrare una perdita massima di 30 milioni nell’arco di un triennio. I numeri fanno impressione: i proventi netti da trading in Europa sono passati da 2 a 5 miliardi tra il 2014 e il 2018. E in Serie A, in cinque anni, sono stati contabilizzati 2,7 miliardi di plusvalenze, molti di più di Bundesliga e Liga e come la Premier che però fattura quasi il triplo. Quando verrà varata, la norma Uefa avrà ricadute inevitabili sui club italiani. Trovate tutti gli approfondimenti su G+, la nuova sezione premium del nostro sito www.gazzetta.it