Prima crono: Binda 1933 Quel primato sul Tour
C’è qualcosa di magico, e perfino di diabolico, in quel tictac che scandisce le emozioni, e le lancette continuano a girare, sempre con il medesimo ritmo, mentre la fatica gonfia i muscoli e il cuore arriva quasi a scoppiare. E’ l’uomo che lotta contro il tempo, contro quel maledetto (o benedetto) cronometro che, alla fine, come il giudice di tribunale ne decreterà l’assoluzione o la condanna. L’orologio è il vero protagonista, più ancora degli stessi ciclisti, perché gli occhi degli spettatori guardano quell’aggeggio molto più spesso di stile o potenza. «E’ una corsa a freddo - scriveva Dino Buzzati nel 1949 -, il corridore non può sfidare che se stesso, manca la ruota amica che tiri, manca la provocazione dell’avversario che ecciti, manca la manovra tattica tra i compagni della stessa Casa... Il rivale dei corridori è la lancetta del cronometro che si lascia alla partenza e poi si ritrova all’arrivo: nel frattempo quanto avrà camminato?».
La prima volta che al Giro si disputò una cronometro fu il 22 maggio 1933. Sessantadue chilometri, da Bologna a Ferrara. Vinse Alfredo Binda. Orio Vergani, sul Corriere della Sera, descrisse lo stupore degli atleti: «La folla che ha assistito alla gara, distesa quasi ininterrottamente ai due lati lungo la via, era la più grande delle tante grandissime che abbiamo visto in questo Giro adunarsi per il passaggio dei corridori». Un successo che nemmeno gli organizzatori si aspettavano, soprattutto se riflettevano su come ci si era arrivati. L’anno precedente, nel 1932, un certo Maurizio Toccagnini, ciclista dilettante, viveur e amico del direttore della Gazzetta Emilio Colombo, aveva partecipato alla cronometro del Grand Prix des Nations, organizzato da Gaston Benàc, caporedattore di Paris Soir, ed era rimasto affascinato dallo spettacolo del pubblico. Per questo aveva suggerito a Colombo di inserire una tappa anche al Giro, «prima che lo facciano i francesi al Tour, così li freghiamo». Colombo ne parlò con Cougnet, disegnatore della corsa rosa, e l’impresa andò in porto. I francesi si arrabbiarono non poco: sentivano di essere stati derubati di un’idea. Ma le idee, se non si applicano, valgono poco.