Perché cresce il divario a favore dei club ricchi
Si fa fatica a crederlo: 79 punti su 81 disponibili il bottino del Liverpool finora in Premier League, cioè 26 vittorie e un pareggio in 27 partite. Mai successo prima, né in Inghilterra né altrove. Segno, oltre che del valore di una squadra meravigliosa, di un calcio che sta cambiando i connotati? C’è un’altra notizia degli ultimi giorni, questa non di campo, che ci spinge a riflettere in questa direzione: la Fifa ha incaricato una società di consulenza finanziaria americana, The Raine Group, di reperire sul mercato il miliardo di dollari necessario per lanciare il nuovo campionato mondiale per club, che non piace all’Uefa, ma comincia a piacere molto alle 12 società europee che vi saranno ammesse. In pratica, si tratta di quel gruppo ristrettissimo di superpotenze calcistiche continentali, del quale il Liverpool ovviamente fa parte, che si sta accaparrando le maggiori risorse del sistema.
Gli undici club europei che oggi superano i 400 milioni di fatturato, fra i quali c’è una sola italiana, la Juventus, nell’ultima stagione hanno totalizzato ricavi per 6 miliardi e 760,4 milioni di euro, rispetto ai 21 miliardi e 80 milioni generati da tutti i club europei di Serie A (che sono 712). Questo significa che nelle casse dell’1,5% delle società di Prima Divisione finisce il 32% del valore della produzione. Se poi si considerano tutte le società professionistiche europee,
Dominio Reds
alcune migliaia, si scopre che il 24% della ricchezza complessiva (circa 28 miliardi e mezzo) è “sequestrato” dallo 0,01% dei club, i magnifici undici (Barcellona, Real Madrid, Manchester United, Bayern Monaco, Paris St. Germain, Manchester City, Liverpool, Tottenham, Chelsea, Juventus e Arsenal, in ordine di fatturato).
Una sproporzione così evidente non può che avere riflessi sui risultati sportivi. Nell’ultimo decennio sono successe cose mai viste prima: in Spagna, Italia e Inghilterra si sono vinti campionati con più di 100 punti; non ci sono stati mai tanti en-plein domestici (cioè una sola squadra vittoriosa in campionato e nella Coppa o anche nelle due Coppe nazionali); in 13 Leghe su 54 (fra cui l’Italia) si è stabilito il nuovo record di scudetti consecutivi. Sì, perché la polarizzazione si ripercuote sulle competizioni nazionali, più ancora che su quelle europee. Persino nei Paesi piccolissimi. Come Andorra: il Santa Coloma ha vinto gli ultimi 6 titoli, prima c’era stato un massimo di tre consecutivi.
Questo capita perché la sola partecipazione ai preliminari di Champions garantisce a quel club risorse sufficienti a sovrastare la concorrenza, e ogni anno il divario cresce. Una volta era la vittoria in campionato a dare la possibilità di competere in Coppa dei Campioni. Ora è il successo o comunque il raggiungimento dei turni finali di Champions, nei Paesi ricchi, o la sola partecipazione (nei Paesi poveri) a garantire i mezzi necessari e per vincere o comunque provarci in campionato. In dieci anni il montepremi di Champions è salito da 583 a 2.040 milioni. Qualcuno in Uefa si è battuto per destinare una parte più consistente di questa montagna di denaro alle squadre che non ce l’hanno fatta. Per evitare che gli squilibri aumentino ogni anno. Tentativo fallito: nonostante il quadruplicarsi dei cespiti, la quota di solidarietà è scesa dall’8,5% al 7,3%. Ora la Fifa cerca almeno un altro miliardo che finirà nelle tasche dei soliti noti. Ecco perché non stupisce che il Liverpool abbia fatto 79 punti su 81.