«Chiuso in camera aspettando l’esito» Uae Tour surreale tra virus e smentite
Corsa interrotta, due casi di coronavirus forse negativi, 600 persone a Abu Dhabi col fiato sospeso. Pure il nostro inviato
Chiuso in quarantena nella mia stanza d’albergo, la numero 330, in attesa di informazioni che arriveranno solo dopo molte ore, sorrido amaramente al destino beffardo: osservavo l’evolversi della delicata situazione italiana intorno al coronavirus dall’estero, al seguito del Tour degli Emirati, e in fondo mi sentivo un po’ protetto dalla lontananza, anche se il pensiero correva spesso a casa. E invece eccomi qui, dopo aver fatto il test per la positività non senza quel brivido, lo ammetto, che ti prende quando scruti l’ignoto.
La prima notte
Il giorno, o sarebbe meglio dire la notte, in cui il famigerato Covid-19 sconvolge il mondo del ciclismo e di tutti quelli che sono qui a viverlo e raccontarlo, comincia alle 24.15 di ieri, un venerdì. Siamo a letto, il ritrovo alla partenza della sesta tappa è fissato per la mattina alle sette e mezza. Una telefonata annuncia la mezza apocalisse: «Le ultime due tappe sono state sospese. Non si corre più». E quell’invito troppo formale a rimanere nell’hotel e a non uscire per nessuna ragione che ci aveva accolto appena arrivati ad Abu Dhabi ora ha un senso compiuto: deve essere successo qualcosa di davvero grave se per la prima volta da quando è scoppiata l’epidemia un evento sportivo già cominciato non viene portato in fondo. Infatti le voci ci mettono un attimo a rincorrersi, pare che all’hotel delle squadre ci siano due positivi al coronavirus, ma non si tratterebbe di corridori: da qualche giorno lamentavano uno stato febbrile sospetto. Ma come sempre accade quando tutto avviene di fretta e non sei tu a controllarlo, alle sicurezze seguono i dubbi: è un falso allarme, preoccupazione rientrata. Però alle porte, molto discreti, ci sono sempre gli uomini della security che non ti permettono di uscire nemmeno per una sigaretta. Si fanno le quattro, dopo tre ore a informarsi, suggerire, tranquillizzare, il direttore organizzativo di Rcs Sport Mauro Vegni e i suoi splendidi ragazzi rompono le righe, e con loro i giornalisti, senza che peraltro si abbiano più elementi di quando il caos è iniziato, se non che verranno a testare anche noi.
I controlli
Dormo poco. Un sonno agitato. Quando mi sveglio, però, mi avvolge un’apparente normalità. Nessuna indicazione, nessun divieto, a parte quello, rimasto, di non uscire dalla struttura. Posso concedermi perfino la colazione, anche se in giro vedo solo un paio di facce del nostro gruppo. Un messaggio su whatsapp mi riporta alla svelta alla strana realtà che stiamo vivendo: da questo momento tutti devono ritirarsi nella propria camera in attesa di essere chiamati per i controlli medici. L’ormai celeberrimo tampone che abbiamo imparato a conoscere attraverso mille servizi tv e mille articoli dei quotidiani. Ovviamente, senza altre notizie ufficiali perché la comunicazione è gestita soltanto dal Ministero
della Salute locale, la litania del vero o falso riprende il suo corso: si dice che i due contagiati in realtà siano risultati negativi e che dunque il tampone verrà effettuato solo a chi avrà valori alterati della temperatura corporea, mentre si viene a sapere che due corridori sono stati ricoverati per altri problemi. In mancanza di granitiche certezze, bisogna perciò affidarsi all’unica fonte attendibile, il comunicato delle autorità sanitarie degli Emirati: «Gli ospiti degli hotel (quello delle squadre e il nostro, ndr) che sono stati in contatto con i due casi diagnosticati di Covid-19 sono ora in quarantena, che continuerà fino a quando la situazione si sarà chiarita. Verranno effettuati test diagnostici». Dunque, per il Ministero, i casi sono confermati. Alle due del pomeriggio (le 11 in Italia), cominciano i controlli. Sono in camera da quattro ore e ce ne resterò altre due: mi chiamano alle quattro. Piano -1. Passaporto e generalità, i medici e gli infermieri, con mascherine, guanti e camici interi, sono gentilissimi e quasi timidi nell’approccio. Mi assegnano un numero, sarà quello del mio tampone: la procedura burocratica si rivela molto più lunga dell’esame, una sorta di cotton fioc infilato per dieci secondi al massimo nelle due narici. E’ tutto finito, per adesso: «Ci vorrà qualche ora per i risultati», mi fanno sapere. Ma siccome i test sono stati un centinaio, i tempi saranno destinati a dilatarsi.
L’ambasciatore
Torno nella mia stanza, non mi resta che aspettare. Magari confortato dagli spifferi che escono dall’albergo delle squadre, dove i controlli erano iniziati alle due di notte e terminati al mattino. Nessuna nuova. Raccontano però che i corridori abbiano trascorso la giornata in relax e senza particolari patemi; poi, attraverso il proprio profilo Twitter ufficiale la Isn, la squadra israeliana a suo modo entrata nella storia per essere stata invitata a gareggiare in un paese arabo, comunica che i direttori sportivi avrebbero riferito in una riunione plenaria che tutti i ciclisti sarebbero risultati negativi al test. Rumors, come sempre. Per gli italiani, l’unico intermediario con il Ministero della Salute degli Emirati è l’ambasciatore Nicola Lener, di una disponibilità squisita: «Chiaramente siamo stati informati subito di tutte le procedure e la questione è diventata la nostra priorità. Anche noi riceviamo poche comunicazioni, perché i protocolli locali sono stringenti. Nel momento in cui avremo un’informazione completa basata su tutti gli esami, sapremo in quale direzione muoverci. Ovviamente in caso di positività, oltre a prenderci carico della situazione, ci attiveremo perché gli ospiti degli hotel che fossero negativi possano al più presto rientrare in Italia». Attendere. Il verbo più moda in queste ore sottosopra.
Riceviamo poche comunicazioni: i protocolli locali sono stringenti
Se ci saranno casi di positività ci faremo carico della situazione
Nicola Lener
Ambasciatore italiano negli Emirati
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