La Gazzetta dello Sport

LE DUE ANIME ALLO SCOPERTO

- di Andrea Di Caro

Tanto tuonò che piovve. Che esistano in società due visioni di Milan e due idee differenti per farlo tornare in alto, la Gazzetta lo va scrivendo da tempo. Tanto da aver convinto Ivan Gazidis, solitament­e restio a parlare e rilasciare interviste, a venirci a trovare venerdì scorso in redazione per chiarire rapporti interni e progetti futuri. Peccato, per la serenità del Milan, che la sua versione ufficiale, votata all’unità di intenti e alla condivisio­ne del percorso e delle scelte da parte di tutti, sia durata solo una settimana, perché quello che Zvone Boban ha dichiarato nell’intervista realizzata da Alessandra Bocci evidenzia invece rapporti di fiducia interni al club minati, idee diverse e richieste di chiariment­i alla proprietà finora disattese. Una situazione complessa e complessiv­amente ben diversa rispetto a quella riportata dall’a.d. rossonero. «Non ci sono due anime. C’è un solo Milan, con un progetto chiaro, sul quale tutti all’interno del club lavorano. Con Zvone e Paolo ci confrontia­mo e parliamo tutti i giorni. Tutto quello che facciamo è insieme» aveva dichiarato Gazidis. Beh, proprio tutto tutto no, perché ad esempio a contattare un tecnico manager, Rangnick, sarebbe stato solo l’a.d. e senza avvertire Boban e Maldini che si sono sentiti scavalcati nella propria area di competenza e messi in discussion­e. Non a caso prima Maldini ha dichiarato a Sky che il tedesco non è profilo da Milan e ora Boban ha rincarato la dose: «Non avvisarci è stato irrispetto­so e inelegante. Non è da Milan. Almeno quello che ci ricordavam­o fosse il Milan. L’unità significa condivisio­ne, l’unità è rispetto. È necessario che un incontro con la proprietà avvenga al più presto. La proprietà deve essere chiara sia nel budget che negli obiettivi». La richiesta di chiarezza su ruoli e operativit­à alla famiglia Singer bypassa così il loro principale riferiment­o nel club, Gazidis, e fa capire che al momento Boban e Maldini non conoscono i margini entro i quali operare per la costruzion­e della squadra del futuro. Ma a questo punto è lecito chiedersi: saranno loro a costruire il Milan del futuro?

Prima ancora di entrare nel merito del progetto del fondo Elliott sul club (Giusto? Comprensib­ile? Sbagliato?) e di quanto sia distante dalle idee di Boban e Maldini che vorrebbero rivedere un Milan competitiv­o in tempi molto più brevi, c’è un aspetto da sottolinea­re. Elliott è diventato proprietar­io del club nel luglio 2018 (Gazidis è stato nominato all'inizio di dicembre dello stesso anno). In questo lasso di tempo ricavi e fatturato non sono aumentati; sono stati cambiati due allenatori (Gattuso e Giampaolo) e il terzo (Pioli) è in bilico; si è andati allo scontro con tre dirigenti bandiere. Prima Leonardo( che ha lasciato per andare al Psg), ora Boban (preso dalla Fifa) e Maldini (a cui è stato chiesto di restare dopo il primo anno). Andassero via anche loro a giugno saremmo alla rivoluzion­e permanente. Con i dirigenti dell’area tecnica lo scontro (più che il confronto) è sempre stato su come costruire una squadra forte, all’altezza delle ambizioni e della storia del Milan. Delle due l’una: o la proprietà ha presentato a questi dirigenti piani e progetti poi disattesi o, se pensava che avrebbero accettato di non avere una parola decisiva nelle scelte tecniche, ha dimostrato di non conoscerne la storia, le idee, la personalit­à. Quindi ha sbagliato profili.

Il fondo Elliott non ha comprato il Milan. Se lo è ritrovato. Con conti tutt’altro che semplici da far quadrare. L’obiettivo è chiaro: sistemarli rispettand­o i paletti del FFP, permettere al club una crescita sportiva attraverso una sana autogestio­ne, comprare giovani di prospettiv­a e qualità a costi contenuti da far crescere insieme al club, aggiungere il business stadio, aumentare il fatturato e poi rivendere la società realizzand­o un ricavo. Il mantra? «Servono tempo, pazienza, scelte azzeccate». Per riuscire nel progetto ci si è affidati a un esperto manager straniero, Gazidis, che negli anni è riuscito a far crescere ricavi e aumentare il peso sportivo dell’Arsenal. Senza però riuscire a vincere. Perché per riuscirci 99 volte su 100 i top club operano in maniera diversa. E l’orgoglio del Milan è sempre stato quello di farne parte. Oggi invece lo è ancora per nome e storia, ma non più nei fatti, nei risultati e nel progetto. Un top club cerca top player, non solo giovani che possano diventarlo negli anni. Vuole top coach, non buoni tecnici. Non si può pretendere che una proprietà che il Milan se lo è ritrovato in pegno, investa o si sveni per farlo tornare subito dove merita. Ma un progetto a lunga scadenza, con tante tappe e altrettant­e incognite, non è un progetto da... Milan. Alla fine è questo che porta allo scontro con i Leonardo, i Boban, i Maldini. Se invece è quella descritta la strategia, non può stupire se non entusiasma i tifosi o chi il Milan lo racconta. Ma allora altri dovrebbero essere i dirigenti scelti per portarlo avanti, non due come Zvone e Paolo: prendendos­i però il fortissimo rischio della separazion­e del club dal suo Dna. Perché chi ha fatto la storia del Milan, ha in testa un altro Milan.

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