ITALIA CORAGGIO, SI GIOCA
Nel giorno record dei contagi, almeno una buona notizia: con ordine e mani ben lavate, senza abbracciarsi, uniti sì ma a un metro di distanza, gli sportivi italiani possono continuare a coltivare le loro passioni. Il decreto del governo sul coronavirus è come il mitico arbitro Lo Bello, severo ma giusto. Tempi lunghi, un mese di regole stringenti e stadi chiusi al pubblico. Medicina amara per i fan e per chi campa sullo spettacolo dell’agonismo società e organizzatori dovranno fronteggiare danni notevoli e andranno sostenuti come altri settori dell’economia - ma necessaria. Un onesto tentativo di coniugare la tutela della salute pubblica con il diritto dei cittadini all’attività fisica e ludica. Ogni persona sensata, al di là delle appartenenze politiche, si augura che abbia successo. Ma intanto un risultato importante l’ha già portato a casa: la manona dello Stato ferma il flipper impazzito in cui lo sport italiano, soprattutto il calcio, s’era infilato da due settimane, rischiando di mandare in tilt l’intera stagione. La palla torna dove stava all’inizio e dove avrebbe dovuto rimanere senza mai muoversi, come questo giornale ha sempre sostenuto: tenere fermo il calendario delle manifestazioni accettando di disputarle senza assembramenti pericolosi. Porte chiuse e pedalare, insomma. Tutti, senza eccezioni.
Se questa logica elementare e solidale avesse fatto breccia sin dall’inizio nel rissoso condominio del nostro pallone, ci saremmo risparmiati scena e retroscena di una pietosa gara a chi è più furbo in barba al morbo. Manovre incaute, post offensivi, spaccature insensate di fronte a un dramma nazionale che dovrebbe renderci tutti più consapevoli. È andata come è andata, e sarà difficile dimenticare il mesto spettacolo, ma ora il campionato torna in carreggiata. C’è una strada chiara da percorrere e può condurre una stagione tormentata a un risultato comunque credibile, senza falsificazioni. Finalmente domenica (il titolo di prima pagina è preso a prestito da un bel film di Truffaut) si torna a giocare. Juve e Inter si fronteggiano all’Allianz Stadium. E vincerà chi ne ha di più. Certo, non sarà consolante ascoltare, nel silenzio sordo e vuoto, il tonfo della palla che rimbalza, l’urlaccio dell’allenatore, il richiamo del portiere. Ma questo è il rumore del calcio ai tempi del coronavirus: una colonna sonora aspra e veritiera restituisce la solennità di un momento in cui ci deve essere svago e anche divertimento, ma non è ammessa la gioia scomposta. O il coro guerresco, il fischio, il dileggio. Sarà interessante osservare, nelle dichiarazioni e nei commenti dei protagonisti, gli effetti del coronavirus al tempo della Var. Un’occasione per imparare, sebbene a caro prezzo, le virtù lenitive del fair play, della moderazione verbale e, se occorre, dell’ironia. Non si chiede fratellanza, basterebbe continenza.
Nel parlare e scrivere di sport in tempi grami, occorre rispetto. Fuor di retorica, rispetto per i morti e i sofferenti, per chi è debole e per chi ha paura, per chi deve tirare avanti con coraggio, per tutti noi insomma. Il rispetto è il valore che incardina la passione agonistica. Mentre l’Italia chiude scuole e teatri, lo spettacolo di cui la Gazza si occupa ogni giorno può continuare anche se in condizioni impervie. È un privilegio, ma deve servire a qualcosa. Il decreto del governo preserva - purché in condizioni di assoluta sicurezza - alcuni grandi eventi. E consente al cittadino di continuare a svolgere attività fisica. Possiamo allenarci, correre, giocare e persino tifare. Nel prossimo mese, lo sport in ogni forma dovrà dare il meglio della sua dimensione narrativa: in fondo è chiamato alla stessa funzione che il racconto svolge per i dieci giovani fiorentini imprigionati dall’epidemia nel Decameron. Intrattenere, riannodare i fili tra il prima e il dopo, la vita che era e quella che sarà. Questa non è la peste, per fortuna. E nessuno di noi è Boccaccio. Ma una buona storia - una partita di calcio ben giocata lo è - aiuta a passare la nottata. E a svegliarci dall’incubo ricordando chi siamo.