Da Stewart a Senna passando per Lauda Quando vince il carisma
Carisma. Nel vocabolario Treccani la “capacità di esercitare un forte ascendente sugli altri e di assumere la funzione di guida, di capo”. Lewis Hamilton è solo l’ultimo pilota a mostrare personalità in F.1. Ma non sono stati tanti. Dagli Anni 60 in poi, dopo l’arrivo degli sponsor, i contratti hanno visto aumentare il numero di pagine e le bocche dei piloti hanno iniziato a cucirsi. Salvo, appunto, eccezioni. Jackie Stewart ha vinto tre Mondiali con la Tyrrell (1969, 1971, 1973). E’ stato un grande pilota e un’icona di stile, con i cappelli e le basette lunghe che facevano tanto “swinging London”. Ma è anche l’uomo che ha lottato, solo contro tutti, per portare più sicurezza in F.1. Diventando a un certo punto il meno popolare dell’ambiente.
«Allora era uno sport pericolosissimo - raccontò anni dopo -. Quando un pilota moriva le nostre compagne si prendevano cura della vedova. Il peggio era andare in hotel a recuperare gli effetti personali di chi non c’era più, perché le mogli non se la sentivano, o stare con loro in ospedale». Scosso da un incidente a Spa nel 1966, quando rimase dentro l’auto capottata mentre la benzina gli inzuppava la tuta, Jackie iniziò una dura campagna in favore della sicurezza. Chiese vie di fuga, guard-rail dove non ce n’erano, strumenti medici avanzati, commissari addestrati per il soccorso. Guidò il boicottaggio di Spa e Nürburgring, ritenute pericolose. «È stata di gran lunga la situazione più impopolare che ho affrontato. Non credo esista una singola curva di una pista nel mondo chiamata Stewart corner: organizzatori, proprietari di piste e organi di governo dello sport mi odiavano». Non ha mollato. E se la F.1 è diventata più sicura lo deve a lui.
Niki il leader
Nel decennio seguente toccò a Niki Lauda emergere, dentro a un gruppo di piloti che era comunque già meno allineato. Basti citare James Hunt, che delle convenzioni se ne fregava allegramente. Ma l’austriaco, anche lui tre volte iridato (1975, 1977 e 1984), ebbe modo di dimostrare la sua indipendenza di pensiero più di altri. La prima volta quando al Fuji nel 1976, mentre si giocava il Mondiale dopo il rientro lampo dall’incidente che l’aveva spedito in coma, scese dalla Ferrari rinunciando a lottare sotto la pioggia battente. L’ingegner Forghieri gli propose di raccontare che si era trattato di un guasto. Lui rifiutò, e affrontò con orgoglio «il coraggio di avere paura». Tre anni dopo mollò baracca e burattini dopo le prime prove del GP del Canada dicendo che si era rotto di girare in tondo, lasciando la F.1. Nel 1982 tornò a correre, per capeggiare (al primo GP della stagione!) uno sciopero dei piloti per questioni legate alla superlicenza. Serve altro?
Il peso di Ayrton
Non si può dimenticare, infine, uno come Ayrton Senna. Spesso controverso, altrettanto spesso capace di mettersi contro il sistema. Già dall’anno di esordio, nel 1984, quando venne penalizzato da una bandiera rossa anticipata che gli impedì di vincere a Monte Carlo sotto l’acqua. Lo fece sapere, per quanto ancora timido. L’aumentare dei successi si portò dietro anche la crescita umana, con robuste prese di posizione nei confronti di colleghi e uomini di potere, anche legati a lui. Come quando minacciò di non tornare dal Brasile prima dell’inizio della stagione 1993 e mise in croce Ron Dennis patron della McLaren. O quando affrontò, praticamente da solo, la Fia e il suo presidente Jean-Marie Balestre dopo il GP Giappone 1989 che lo vide perdere il Mondiale per l’incidente con Prost. A suo dire, una grande ingiustizia. E si vendicò, male, l’anno seguente. Arrivò a un passo dalla squalifica. In generale era proverbiale la sua capacità di guidare il gruppo su temi importanti, “ammaestrando” per così dire anche la stampa con lunghe chiacchiere serali, a motori spenti. Carisma, insomma.
La lotta di Jackie per la sicurezza gli alienò le simpatie di tanti, ma tenne duro
Niki tornò in F.1 nel 1982 e la prima cosa che fece fu guidare uno sciopero
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