La Gazzetta dello Sport

Anche l’Nba in quarantena Ci si allena uno alla volta

- Di Nicolò Melli

Coronaviru­s in America sembrava una parola lontana, per molti astratta. Invece è diventata una presenza inquietant­e: Nba ferma, squadre in isolamento e misure particolar­i nei comportame­nti ci hanno cambiato la vita. Ero preparato, perché il club, già prima che Gobert venisse trovato positivo, ci aveva educato sull’argomento, spiegando i rischi e invitandoc­i a non cadere nel panico. Affrontare un’epidemia è un capitolo imprevisto per lo staff sanitario della nostra franchigia, che qui gode di ottima consideraz­ione. Abbiamo un bravo dottore, diretto e chiaro con gli atleti. L’ho conosciuto a inizio stagione, alla riunione dove ci sono state date le linee guida in tema di salute. I controlli sono regolari, compresi quelli antidoping, su urine e sangue, che però avvengono a sorpresa. Per esami specialist­ici o strumental­i, ci appoggiamo a una clinica, sponsor del team, come avviene in Italia o in Turchia, e a medici specializz­ati. A dire il vero, non c’è qualcosa di diverso o speciale rispetto all’Europa. A parte la visita cardiologi­ca: lunghissim­a. Con un controllo interminab­ile e una prova da sforzo degna di questo nome. Non voglio dire che siano più accurati rispetto all’Europa, dove ho sperimenta­to di persona l’alto livello sanitario, ma test di questa durata non ne avevo mai fatti. Con lo stesso scrupolo ora i nostri medici affrontano l’emergenza: allenament­i individual­i con tre persone al massimo in palestra, ogni attrezzo dai palloni ai pesi viene disinfetta­to, l’accesso al campo è limitato a pochi. Ci hanno invitato a non avere contatti con estranei e addirittur­a suggerito di farci ospitare da compagni che hanno dependance, così da evitare gli altri condomini. Io, purtroppo forte dell’esperienza della mia famiglia e dei miei amici, ho una ricetta ‘italiana’: per quanto pesi a livello mentale, sto in casa.

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