Addio Peirò, genio che lanciò l’Inter con la palla rubata
UN COLPO DI GENIO FECE LA STORIA E LA GRANDE INTER VOLÒ VERSO IL MITO
L’ex attaccante spagnolo aveva 84 anni Pupillo di Herrera, rubò palla al portiere del Liverpool e segnò nella leggendaria rimonta in semifinale di Coppa Campioni
Èsufficiente un gesto, un semplice gesto, per entrare nella storia e non finire nel libro dei dimenticati. Joaquìn Peirò, scomparso ieri a 84 anni, ne è la testimonianza. La sera di mercoledì 12 maggio 1965 s’inventò un gol che nessuno non solo non aveva mai realizzato, ma neppure immaginato: con una dose di furbizia degna di Ulisse, che prepara l’assalto a Troia facendo costruire un cavallo di legno e nascondendovi dentro i soldati, ingannò il portiere avversario rubandogli il pallone mentre lo stava facendo rimbalzare prima del rinvio. Sul Corriere della Sera, in un editoriale intitolato «Piedigrotta a Milano», Gino Palumbo descrisse l’azione: «Lo spagnolo era stato lanciato verso l’area di rigore, e s’era avventato rabbiosamente verso il pallone. Il portiere inglese gli uscì contro, arrivò primo sulla palla, attese l’arrivo del nerazzurro e lo sbilanciò con una carica. Peirò continuò nella sua corsa e rotolò per terra. Fu in quell’attimo che maturò la sua fulminea vendetta. Si rialzò e di colpo, mentre il portiere britannico ancora palleggiava preparando il calcio di rinvio, lui, da dietro, di corsa e furtivamente, gli arrivò addosso, gli sottrasse la palla, e la scaraventò in rete. Un gol raro».
Milano impazzì
Già, raro perché non se n’erano mai visti. E prezioso, perché quella non era una partita qualsiasi, ma la semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni e l’Inter, all’andata, aveva perso 3-1 ad Anfield contro il Liverpool. Quello di Peirò, al minuto 10 del primo tempo, fu il secondo gol dei nerazzurri: due minuti prima aveva segnato Corso, con una delle sue deliziose punizioni «a foglia morta», e nella ripresa la bordata di Facchetti completò la grande rimonta. I nerazzurri del Mago Herrera sbarcarono in finale e lì sconfissero il Benfica di Eusebio. Altro trofeo da alzare al cielo, come l’anno precedente: una doppietta mai riuscita fino ad allora a una italiana. E Peirò, con quel suo colpo da artista, potè essere considerato l’uomo decisivo nella cavalcata verso la gloria. Di sicuro, di quella notte pazza di allegria, fu l’eroe indiscusso: la Milano nerazzurra s’inginocchiò davanti alla sua scaltrezza e ne fece un idolo. Le macchine imbandierate sgommarono in Piazza Duomo, sul sagrato, e il nome di Peirò, assieme a quelli di Mazzola, Corso, Facchetti, Suarez, veniva ripetuto con ossessione: era la liberazione dall’incubo, dopo la batosta di Liverpool, ed era anche la conferma del dominio di Milano, che in quel periodo era l’ombelico del mondo del calcio.
San Siro unico
Quando, il 4 maggio, Peirò e i compagni erano usciti da Anfield, un coro li aveva accompagnati: «Go home, Italians!», «Italiani, andate a casa!». Ora, invece, dagli altoparlanti di San Siro, uscivano le note di un capolavoro di Louis Armstrong, «When the Saints go marchin’ in», la stessa canzone che i tifosi dei Reds intonavano per incitare il loro centravanti spilungone Ian St. John, terrore di ogni difesa. A consegnare nelle mani dello speaker dello stadio il 33 giri fu Sandro Mazzola. Gli disse: «Metti su questo disco alla fine della partita, perché noi vinceremo». Lo speaker lo prese per matto, ma si adeguò: chi poteva dire di no a Mazzola? Il fattore determinante, in quella notte magica, fu l’ambiente: San Siro straboccava di gente, 80mila persone, forse di più, record d’incasso, i paganti secondo i bollettini ufficiali furono 76.601, i cassieri contarono 162 milioni di lire. Per l’occasione, cori, striscioni, bandiere, mortaretti, fumogeni. E il Mago Herrera, come un direttore d’orchestra, a dirigere dalla panchina, oltre ai suoi giocatori, anche gli «ohhh» del pubblico perché lui sapeva quando si doveva incitare («tacalabala, tacalabala!») e quando si poteva tirare il fiato. Peirò era uno dei suoi pupilli, lo aveva fatto acquistare nell’estate del 1964 dal Torino: non lo utilizzava spesso in campionato, perché i posti dei due stranieri erano occupati da Jair e Suarez, ma in Europa sì. E difatti lo spagnolo segnò un gol anche nella finale Intercontinentale l’8 settembre 1965 contro l’Independiente. Con l’Inter vinse due scudetti, una Coppa dei Campioni e due Intercontinentali, e poi fece le valigie e si trasferì alla Roma.
Romanista
Aveva già passato la trentina, Peirò, quando indossò il giallorosso. Quattro campionati con la Roma, gli ultimi due (196869 e 1969-70) da capitano (promosso da Herrera) a testimonianza del fatto che Peirò era un ottimo attaccante e anche un punto di riferimento. Nel 1969 sollevò la Coppa Italia e si guadagnò l’amore della gente. Chiuse la carriera nell’Atletico Madrid, e per sempre si portò dietro (e dentro) quel gesto per il quale gli appassionati di calcio gli diranno sempre grazie.
IL RICORDO
Il suo nome rimane impresso nella storia nerazzurra, così come il suo gol in Coppa Campioni al Liverpool L’Inter lo ricorda così, i calzettoni abbassati, lo sguardo vispo, mentre spinge quel pallone nella porta vuota di San Siro. Ciao Joaquin, e grazie!
Il messaggio dell’Inter