La Gazzetta dello Sport

I primi quarant’anni nella prigione di Dinho

- Di Alessandro de Calò

Forse oggi, nella prigione di Asuncion, in un angolo del suo quarantesi­mo compleanno, Ronaldinho penserà a quel brivido di tanto tempo fa, nel gelido vento di Madrid. Era la notte del 19 novembre 2005 e lui si era messo a correre, sull’erba del Bernabeu, più veloce del solito. Giocava ridendo, con controlli orientati – da playstatio­n – tirando fuori i dentoni e facendo rimbalzare a ogni passo la coda dei capelli, tipo ali di farfalla. Il poderoso Real dei vecchi Galacticos – Ronaldo, Zidane, Beckham – era finito là. Fatto a pezzi, definitiva­mente, dai colpi affondati da Ronaldinho e da un giovane pupillo dell’asso brasiliano: sembrava un bambino e si chiamava Leo Messi. Verso la fine, sul 2-0 per il Barça, dopo aver già confeziona­to il primo dei suoi capolavori, Ronaldinho aveva concesso il bis. Partito da centrocamp­o, con un passo da Cruijff e tecnica maradonian­a, era finito in gol pietrifica­ndo Casillas. Mi era venuta la pelle d’oca quando, attorno a noi giornalist­i, gli ottantamil­a del Bernabeu si erano alzati in piedi per applaudirl­o. Attimo di infinito, brivido indimentic­abile. Ronaldinho era felice e probabilme­nte non lo sapeva. Era il numero uno al mondo, stava per vincere Pallone d’oro e Champions e

Ingabbiato

per segnare un’epoca. Ma non è mai stato un genio nell’arte della durata. Si è goduto la vita festeggian­do, bevendo, lasciandos­i andare. C’è stato un periodo in cui il Milan colleziona­va vecchie glorie: Rivaldo, Redondo, Beckham, Ronaldo. Spremeva le ultime gocce di talenti un po’ esausti. Il Gaucho, è stato uno di questi. In rossonero è diventato Dinho, ha dato gioie

– fin dal primo gol, decisivo, in un derby – e dolori, per rimanere poi inghiottit­o nel buco nero delle sue notti. Non si è mai capito quando sia finita la carriera di Ronaldinho, l’annuncio è arrivato nel 2018, anni dopo l’ultimo match giocato. La stessa confusa traiettori­a segna il dopo-calcio fino all’arresto di due settimane fa ad Asuncion, assieme al fratelloma­nager, per i falsi passaporti paraguaian­i. Vent’anni fa, due suoi connaziona­li molto meno noti, che giocavano in Italia con l’Udinese – Warley Silva e Alberto Valentim – vennero fermati durante una trasferta a Varsavia aprendo il vaso di Pandora dei passaporti falsi nel nostro calcio. Per loro niente carcere, al contrario di Dinho, che però è sospettato anche di riciclaggi­o. Il suo avvocato dice che è “un idiota”. Boh. In Brasile ci sono una ventina di inchieste sui suoi affari e quelli del fratello. Eppure ha ricevuto il titolo di ambasciato­re del turismo brasiliano, con l’okay del presidente ultrà Bolsonaro. Certo, con la pandemia da coronaviru­s, non sono tempi buoni per il turismo. E neanche per lui. Tutto torna. compleanno triste. Ma pensando alla gioia che ci ha dato vedendolo giocare, viene da fargli gli auguri, con un sorriso. Che l’incubo finisca, Ronaldinho, e che i prossimi quarant’anni siano più felici, almeno un po’.

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Ronaldinho il giorno dell’arresto ad Asuncion (Paraguay)
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