La tentazione di immaginarlo grande leader
Aquasi ventisei anni dalla sua violenta e improvvisa scomparsa, ricordando il giorno in cui è venuto al mondo, nasce la tentazione di immaginare Senna oggi. Come sarebbe fisicamente, prima di tutto. E, in modo altrettanto naturale, al posto che potrebbe occupare nella società che ci circonda. Qui la sfida risulta un po’ più complicata. Perché Ayrton, contrariamente a tanti suoi colleghi, si era dimostrato unico dentro e fuori dall’abitacolo. Poco incline, dunque, a restare chiuso nei confini della sua professione e del suo ambiente. Difficile pensarlo su un muretto box a gestire un team. Più semplice fantasticare vedendolo alla guida del suo popolo, da cui era adorato. Armato della grande determinazione che lo aveva portato in cima ai GP, ma anche di una sensibilità interiore tutta sua. Con i politici che ci sono in giro adesso, avrebbe stravinto anche lì.
Oggi avrebbe qualche capello bianco come l’amico e coetaneo Gerhard Berger o come il grande rivale Alain Prost. Attorno agli occhi quelle rughe che diventavano ancora più espressive quando sorrideva. E lo stesso, incredibile carisma di allora. Non è difficile immaginarsi come sarebbe stato Ayrton Senna a 60 anni. È passato un quarto di secolo dal tragico incidente di Imola, ma il pilota brasiliano resta un mito immortale come Gilles Villeneuve, fonte di ispirazione per le generazioni successive e per quella attuale. Basta pensare a Lewis Hamilton, il sei volte campione del mondo della Mercedes, e alla sua devozione per Ayrton. Ma anche all’ammirazione dei giovanissimi come Max Verstappen e Charles Leclerc, che hanno imparato a conoscerlo dai racconti dei genitori e dai filmati su YouTube.
Agonismo
È davvero come se Ayrton stesse continuando idealmente a correre, a ripetere all’infinito le sue 41 vittorie, le sue 65 pole position, le sue sfide e le sue imprese. In altre parole a vivere. Segno di un’eredità senza tempo. È stato un fuoriclasse straordinario, baciato da un talento divino, con una personalità fortissima e decisa. «L’unica motivazione che può spingerci a guidare con tale passione, desiderio o determinazione, è credere che possiamo vincere – diceva – Abbiamo bisogno di grandi esempi da seguire. Vincere è un dovere da adempiere». Ha gareggiato sempre con questa filosofia. Animato da questo imperativo. Ecco perché in pista si trasformava, convertendo tutta la sua forza interiore in aggressività e rabbia agonistica. Da quando afferrò per il collo il compagno Quique Mansilla dopo una gara di Formula Ford 1600 a Mallory Park, nel quale l’argentino tentò di spingerlo sull’erba, a quando arrivato in F.1 si scontrò con Alboreto, De Angelis, Piquet, Mansell, Prost o Schumacher, valga per tutti il celebre faccia a faccia con ramanzina al giovane Michael dopo il tamponamento ricevuto al via del GP di Francia del 1992.
Spiritualità
La vittoria per Senna era una missione e gli avversari un ostacolo da superare. «Non esistono due numeri uno. Esiste un solo numero uno – disse in un’intervista – Questa competizione estrema diventa una forma di egoismo». Lo sosteneva una spiritualità profonda. La convinzione che fosse Dio a indirizzare le sue azioni. Fino a quando non lo dichiarò apertamente, dopo la pazzesca rimonta di Suzuka 1988 e il primo trionfo mondiale con la McLaren: «Sullo schieramento di partenza ho visto Dio». Nessuno, nelle corse, ha avuto la stessa sensibilità di Ayrton per il trascendente. Neppure Hamilton, erede di Senna per personalità e notorietà planetaria, che ha in comune con il suo idolo la fede religiosa e l’attenzione per i problemi dell’umanità. Entrambi, consapevoli della loro fortuna, si sono spesi per il prossimo. Senna l’ha fatto attraverso la sua
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tutto il Brasile, simbolo di riscatto per un popolo diviso da disuguaglianze razziali, sociali ed economiche, ma unito sotto una sola bandiera quando Ayrton sventolava i colori “verdeamarelo” dopo i trionfi. Icona sportiva al pari dei calciatori della Seleçao. La vita non gli ha risparmiato dolori. Ha avuto donne bellissime, dalla cantante Xuxa all’attrice Carol Alt, grazie al suo fascino magnetico, ma anche la delusione di un matrimonio finito in meno di un anno con Liliane quando iniziò la carriera in Gran Bretagna e il tormento che l’ha accompagnato fino all’ultimo per la relazione con Adriane Galisteu, che la famiglia osteggiava. Era turbato anche nei giorni di Imola, dopo l’incidente di Rubens Barrichello e la morte di Roland Rat