La Gazzetta dello Sport

Basket, titolo alla Virtus e poi tanta creatività

- Di Dan Peterson

Il basket si ferma qui, in Italia almeno: non si gioca più. Non ci sarà un calendario di recupero, con tutto compresso in un mese. Non ci saranno i playoff a giugno.

Prima di andare avanti, dico da tifoso: spero che assegneran­no lo scudetto alla Virtus Bologna, prima in classifica. Certo, non è un campionato completo. Certo, non c’erano i playoff. Ma si è giocato e ci si è allenati per oltre sei mesi, anche senza pubblico. Lo sforzo merita un premio, una ragione per la gran mole di lavoro. In una gara sospesa, poi, il punteggio provvisori­o diventa il finale.

È una catastrofe per la Serie A.

Almeno 14 squadre non sarebbero in grado di pagare gli stipendi dei giocatori e degli addetti ai lavori. È una cifra enorme, troppo per chiederla al Coni o al governo. La Serie A dovrà inventarsi qualcosa per fare fronte al disastro. Come? Con accordi con giocatori e agenti per pagare a rate. E poi, una lega estiva? Una volta c’erano i tornei d’estate. Una volta la Jugoslavia giocava all’aperto (anche l’Italia per la verità). Tornei 3-contro-3? Clinic per i coach? Scuole di basket stagionali? Usare i social media? Bisogna essere creativi. Si dice che l’NBA non ha gli stessi problemi perché è una industria che vale miliardi di

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dollari. Io non sarei così sicuro. Infatti non hanno detto campionato “cancellato”, ma “rimandato”. Come se ci fosse la speranza di fare un playoff abbreviato. Perché hanno scelto queste parole gli avvocati? Per la tv, per gli abbonati. Per gli sponsor? Se fossi, per esempio, un abbonato dei Celtics, chiederei il rimborso per le partite per cui ho pagato e che non vedrò. Faranno tutti così, anche la tv, gli sponsor e così via. È un guaio pure per loro. Tornando alla Serie A, cambia tutto il sistema. Già molti club hanno un budget limitato. Vuol dire che, l’anno prossimo, dovranno spendere meno per i giocatori, forse meno della metà. Cosa si può fare? Tornare a due soli stranieri per club? Perché no? L’hanno fatto fino al 1996. Vogliono riempire i palazzi con i tifosi? L’italiano vuole vedere il giocatore italiano, amen. Eurolega? Per anni, i club di A avevano uno straniero in campionato e un secondo in Europa. Si può fare con due per la A, più uno per chi gioca in Europa. Ora l’UE ha altro a cui pensare. Forse bisogna anche rivedere il calendario. Resto dell’idea di disputare campionato e playoff, poi le coppe europee. Consecutiv­amente, non in parallelo. Non sono l’unico a pensarla così. Ricordo che Berlusconi, quando il suo Milan dominava ovunque, sosteneva più o meno le stesse cose. Forse bisogna tagliare il numero di giocatori a referto, da 12 a 10. Era così durante la mia carriera di coach in A dal 1973 al 1987. Con questo, i club italiani hanno dominato in Europa, quindi non era un handicap. Pazzie? Buttatele via, okay, e troviamone altre. La più grande qualità degli italiani è la creatività. Bene, ci vuole questo adesso. Un piano per sopravvive­re un anno, forse due o tre. Non serve pensare in grande, ma un piccolo passo alla volta. Dieci passi piccoli valgono un balzo lungo. Vale per l’NBA come per l’Italia. Ci vuole una soluzione umile, non progetti ultrasofis­ticati e illusori. Quindi piedi per terra.

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Coach Sasha Djordjevic durante un timeout della Virtus Bologna
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