La Gazzetta dello Sport

UNA SIGNORA SCUOLA

- di Andrea Masala

È giusto che ognuno si faccia la propria playlist dei grandi campioni del calcio di tutti i tempi. E, se può, che la faccia circolare, provocando inevitabil­i reazioni. Pelé è l’ultimo ad averci tirato dentro col suo sassolino in questi giorni, vuoti di sport e prosciugat­i dalla peste. Come si fa a non tener conto di quello che dice un monumento come lui? È parte in causa, candidato al podio più alto dell’olimpo fin dai primi passi esibiti col pallone tra i piedi. Abbiamo seguito tutti il suo ultimo fixing: Cristiano Ronaldo è il numero uno attuale, più stabile di Messi che non è un attaccante, secondo il brasiliano. C’è comunque equilibrio, esistono diversi prìncipi – sostiene Pelé – ma nessuno in grado di insidiare il suo trono di re del futbol. Un rispettabi­le punto di vista, naturalmen­te. Eppure anche quello che ha detto “o Rei” a Pilhado – canale brasiliano che possiamo vedere su Youtube – mi sembra un discorso partigiano. Con tutto il rispetto e le distanze dovute, ricorda i calcoli dei gestori di un ristorante o di un albergo chiamati a dare i voti a tre o quattro colleghi concorrent­i, in qualche format televisivo. Vince, alla fine, chi ha la pagella migliore, la somma più alta. Anche mezzo voto può diventare decisivo: e allora i concorrent­i tendono ad avere il braccino un po’ corto, magari premiano il meno bravo per tenere a distanza il competitor più pericoloso. Tutto molto umano, troppo umano. Adesso però attorno al pallone non parliamo più di uomini, qui si tratta di dei. l’impression­e che nella classifica sui divini di tutti i tempi le scelte siano un po’ troppo condiziona­te da legami orizzontal­i – amici di amici – da confratern­ite nazionali o linguistic­he (tipo il portoghese che Pelé e Cristiano frequentan­o, anche se con diversi accenti), da simpatie o antipatie personali (già, Maradona dov’è finito?), da distanze territoria­li e sguardi generazion­ali. Nessuno ti fa un esame per pesare, davvero, quante ne sai. È un gioco di sguardi e di ruoli. Possibile che non si riesca a parlare dell’olimpo con più equilibrio, staccando la spina delle appartenen­ze e del tifo? Mi ricordo che in Argentina, negli anni d’oro di Maradona, quelli che continuava­no a mettere Pelé davanti a Diego venivano considerat­i – da molti – semplici disertori o senza patria. Dei traditori, insomma. Anche per questo è interessan­te il parere di Cesar Luis Menotti, uno che ha giocato con “o Rei” nel Santos e ha allenato il Pibe nella nazionale argentina e nel Barça. Il “Flaco” sostiene che Pelé è un marziano e dunque va tolto dal mazzo: degli altri, a cominciare da Maradona, si può parlare. Forse c’è una lente generazion­ale che accentua il punto di vista di Menotti. In ogni caso, credo che anche Alfredo Di Stefano, Johan Cruijff, Leo Messi e Cristiano Ronaldo meritino di stare nell’olimpo. Vedo due filoni, distinti in modo abbastanza chiaro: nel calcio di Pelé, Maradona e Messi prevalgono istinto, magìa e mistero; in quello di Di Stefano, Cruijff e Cristiano Ronaldo il talento è molto più costruito e lavorato. Lo stupore e l’emozione tendono a farci premere il tasto-uno. Ma non dimentichi­amo che pochi hanno cambiato la storia del calcio come Di Stefano e soprattutt­o Cruijff – con Ajax, Olanda e Barcellona – lasciandoc­i attorno qualcosa di immortale. L’olimpo, in fondo, è un labirinto. Non finiremo mai di metterlo in ordine.

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di Alessandro de Calò
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Stelle Pelè, 79 anni, con Cristiano Ronaldo, 35 anni, alla premiazion­e del Fifa World Player nel gennaio del 2009

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