PORTIERE EVOLUTION Com’è cambiato il volo del numero 1 Ora costruisce gioco
Il portiere è un angelo caduto che ha trovato nuove ali. In origine poteva vagare per il paradiso con la palla in mano senza che nessuno potesse sfiorarlo. Poi hanno concesso ai giocatori il diritto di carica (1893), quindi lo hanno chiuso in un’area di rigore da dove non poteva più uscire (1912). È stato l’inizio di un accanimento normativo, che ne ha limitato progressivamente la libertà, come se avesse mangiato la mela proibita: non più di quattro passi con la palla in mano (’31), non riprendere la palla in mano se un compagno non la tocca (’83) e infine la sciabolata definitiva che ha stravolto l’essenza stessa del ruolo: il divieto di prendere in braccio il retropassaggio di un compagno. Al portiere, antico essere mitologico come le sirene, spuntavano i piedi ed era condannato a usarli. Non solo nel disimpegno. L’esasperazione moderna di pressing e linea difensiva alta, costringeva i portieri ad accorciare, a correre verso la squadra in caso di pericolo. Perdeva così la sua unicità, ma anche la sua malinconica solitudine. A seconda dei punti di vista, una maledizione o una benedizione.
Gasp e Pep nel futuro
Quando Gasperini, in un’intervista recente, ci spiegava: «I portieri saranno scelti più per i piedi che per le mani. Avanzeranno e imposteranno tra i due centrali, così si guadagna in costruzione», annunciava un futuro già in atto. Il portiere Julian Pollersbeck, sotto la regia di Christian Titz, faceva esattamente questo nell’Amburgo. Il soprannome di Pollersbeckenbauer rende l’idea. Ederson, con Neuer il miglior guardiano palla al piede, si concede 25,7 passaggi a partita nel Manchester City (84,8% recapitati) e in ha mandato in gol Sterling con un assist diretto contro lo Schalke 04. Non stupisce che Guardiola, ai tempi del Bayern Monaco, sia andato da Rummenigge a chiedere: «Posso schierare Neuer a centrocampo?» Con maglia da centrocampista, intendeva. A scudetto già vinto. Kalle gli rispose di no per rispetto degli avversari, ma la richiesta certifica lo stato del portiere moderno: un giocatore come gli altri. Presto nel tabellino scriveremo: Atalanta 3-5-3. L’evoluzione tattica, che ha esasperato ovunque la costruzione dal basso, ha accelerato la metamorfosi. Se il 10 sulla schiena dell’ex portiere Lupatelli era un vezzo, oggi suona meno assurdo. Se andate a vedere le partite dei bambini al centro sportivo dell’Ajax, che è da sempre la Cupertino del calcio, vedrete che i piccoli portieri palleggiano fino a centrocampo: il calcio nuovo è già in cottura. Il portiere ha barattato la propria gloriosa unicità, conquistata tra i pali con ferite e nomi da battaglia (Kamikaze, Saracinesca, Gatto, Superman) con ali nuove che non lo portano solo sotto la traversa, ma anche verso la metà campo. Non pensa più solo a non prendere gol, ma collabora per farli. E ciò lo fa sentire meno solo, più squadra. Ma la sua solitudine, in fondo, non faceva parte della sua fascinosa grandezza? Di sicuro, la trasformazione ha stravolto anche la selezione e la preChampions parazione dei portieri. Massimo Battara, figlio d’arte e preparatore dei portieri nell’Italia di Mancini, lo spiega bene.
I filtranti di Gigio
«Prima dell’avvento del libero e poi con l’esasperazione del fuorigioco, ai portieri capitava di fiondarsi fuori dall’area per spazzare via il pericolo, ma ora è diverso. Ora i portieri costruiscono. Un quarto d’ora prima dell’allenamento di Mancini, io esco con i portieri a fare riscaldamento ed esercitazioni con i piedi. Non solo passaggi. Alleniamo, per esempio, anche la palla filtrante. Con l’aiuto di Salsano ed Evani, piazziamo porticine e le presidiamo per dettare le linee di gioco in verti