La Gazzetta dello Sport

HA DETTO Albertini

- di Alessandra Bocci

Il diluvio passerà e bisogna concentrar­si sul dopo. «E’ folle pensare soltanto per se stessi, qui e ora. La pandemia ci riporta a un concetto di uguaglianz­a sociale». Demetrio Albertini è presidente del settore tecnico della Figc e insieme imprendito­re, fra l’agenzia di sport marketing Dema4 e il padel. Ha una visione sul calcio giovanile, su quello delle piccole aziende che devono tenersi in piedi in qualche modo. Ma la sua vocazione, da ex di un Milan supervince­nte, è quella sul grande calcio. La vocazione è anche guardare avanti e capire che si devono fare i conti con stipendi e privilegi. «Con il coronaviru­s il calcio ha preso coscienza dello stato dell’arte. Ora la cosa più importante è organizzar­e la ripartenza. Pianificar­e. Anche club come Barcellona e Real Madrid pagheranno il prezzo della crisi, ma ha ragione anche l’Aic: i calciatori faranno sforzi, in Italia però ci sono situazioni diverse da valutare».

3Il taglio stipendi della Juve è una via valida?

«E’ quella da seguire, ma non c’è una legge quadro e si spera che ognuno si attenga alle decisioni della Lega. Il calcio non è un mondo a parte, non c’è bisogno di supereroi, ma di entrare nel mondo degli altri. Il virus porta all’uguaglianz­a.

«AL MILAN VEDO TANTA CONFUSIONE BENE I GIOVANI MA SERVONO I BIG» «In Italia ci vuole esperienza per vincere. Tutti vorrebbero giocare subito, ma è più importante saper ripartire dopo l’emergenza»

Perdendo Boban, il Milan ha perso un elemento valido. E c’è troppa confusione nei ruoli

Ibra è stato come il sasso gettato in uno stagno: lo terrei, genera emozione nei tifosi

Albertini sulla ex squadra

Nulla sarà come prima. Questo è un momento triste che resterà nella storia. Il messaggio che do ai miei figli è che devono fare qualcosa di eccezional­e, come hanno fatto i nostri nonni nella seconda guerra mondiale».

3Ha litigato su Instagram con Inzaghi sulla ripartenza dei campionati.

«Non ho litigato, siamo amici e con Pippo non ho problemi. Ma mi dà fastidio che si pensi che se non ripartiamo c’è sotto qualcosa. La priorità è la salute. Anche io vorrei che si tornasse a giocare, anche io vorrei uscire di casa, oggi, anzi ieri. Ma se uno pensa al convoglio tragico di Bergamo non può non concordare che il primo dovere è riflettere. Anche io come tutti ho perso qualcuno che conoscevo. I social sono spesso una questione di pancia, volevo esprimere il mio dissenso con certe frasi. Comunque, entro aprile dovremo capire se giocare o congelare».

3 Da presidente del settore tecnico della Figc come vive questo momento?

«E’ complicato, dovremo congelare i campionati dei settori giovanili, quando abbiamo dovuto decidere sul blocco o meno dei corsi per allenatori sul territorio c’è stato caos perché le situazioni erano diverse. Ma ora la priorità è la ripartenza. Salute, organizzaz­ione, poi occhio alla situazione economica: le condizioni gravissime dell’Italia avranno ripercussi­oni sulle aziende dei presidenti e da lì su quelle dei club».

3Come si stanno comportand­o gli italiani?

«Io sono orgoglioso di essere

italiano, anche se siamo a volte un po’ superficia­li. Ma questo paese nelle difficoltà ha un senso di appartenen­za che pochi hanno e un grande senso di solidariet­à. Adesso però dobbiamo pensare al futuro, perché un dopo ci sarà».

3Le sembra che i presidenti del calcio siano meno litigiosi? «Mi sembrano giustament­e preoccupat­i, ma abbiamo bisogno di tre leghe unite. Poi ci sono sempre i più fantasiosi, come quelli che propongono di giocare la fine dei campionati al sud».

3In questo scenario, la Uefa è stata tempestiva?

«Secondo me no, anche se è vero che fare valutazion­i in situazioni del genere non è semplice. Abbiamo visto che cosa è capitato all’estero anche a ministri e capi di stato».

3C’è chi dice che lei studi da presidente federale.

«Ho già dato, faccio il presidente del settore tecnico e mi diverto. Diciamo che a Coverciano non vogliono lasciarmi andare. Mi piace la politica sportiva. Ormai sono quasi 15 anni che faccio il dirigente».

3A proposito di politica sportiva e di Milan, che impression­i ha ricavato dall’addio di Boban?

«Secondo me al Milan c’è grande confusione. Poi, da una parte c’è un amico e dall’altra una persona, Gazidis, che ho incontrato poche volte. Credo che il Milan abbia perso un elemento valido, ma è come in uno spogliatoi­o: se ci sono tanti fuoriclass­e, tante teste che non vanno d’accordo, è inutile cercare la colpa. Non è che qualcuno abbia sbagliato, alla fine è sbagliata la stagione e chi ci rimette è il Milan. Adesso serve un progetto sportivo chiaro, ripartire ogni anno da zero non serve. Se il Milan è soltanto un progetto economico, che lo dicano».

3E’ d’accordo con la politica dei giovani?

«Investire sui vivai è giusto, ma i giovani in Italia non bastano. Servono giocatori esperti per far crescere i giovani e lo dico per vita vissuta. I giovani non possono avere continuità. E poi bisogna creare un senso di appartenen­za. I club italiani hanno bisogno di italiani: parlo del Milan, ma anche della Juve o dell’Inter, che guarda caso ha preso Sensi e Barella. A Madrid, per quanto possano spendere sul mercato, i tifosi si arrabbiano se non vengono ingaggiati giocatori spagnoli, ed è lo stesso ovunque. Io sono cresciuto in una squadra forte, ho vinto grazie agli olandesi e a Weah e Boban e altri, poi c’eravamo noi. Senso di appartenen­za e giocatori esperti: senza questo i giovani non bastano».

3Dunque lei da dirigente rinnovereb­be il contratto di Ibrahimovi­c?

«Lo sport è emozione, il Milan sembrava una pozza d’acqua e Zlatan è stato il sasso gettato nello stagno. Ha creato emozioni. E ha dimostrato che può ancora giocare in Serie A, magari non tutte le partite, ma questo conta poco».

3 Se la chiamasse il Milan adesso che cosa rispondere­bbe?

«Da dirigente ho imparato a non parlare di ipotesi».

3Il Financial Fair Play in un mondo che crolla andrebbe cambiato?

«Andrebbe rivisto. Credo che nella nuova uguaglianz­a sia difficile mantenere certezze. Quando l’emergenza passerà, tutto cambierà. E noi dobbiamo essere pronti al cambiament­o».

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Non si può pensare a sé, la Juve è sulla strada giusta. I giocatori sanno che è il momento di fare qualcosa

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