La Gazzetta dello Sport

LO SPORT INVADE I SOCIAL E SI REGALA UNA NUOVA VITA

- di Paolo Condò

Un giorno dopo l’altro l’isolamento forzato si dilata, raggiunge dimensioni ignote a chi prima conduceva una vita normale, scava nei vecchi costumi mentali alla ricerca di sbocchi come il subacqueo cerca spasmodica­mente l’ossigeno dopo troppa apnea. I social network sono spesso dipinti come il male del mondo, ma in questi giorni Twitter - o almeno la porzione che frequento io, peraltro non piccola - sta vivendo un piccolo Rinascimen­to: se si esclude l’ovvio e naturale mischione politico - spesso distante da toni oxfordiani sulla reazione alla pandemia delle varie istituzion­i, qui è tutto un fiorire di iniziative, referendum, sondaggi e “catene”, che per quanto declinati in digitale restano i modi più tradiziona­li per conoscersi e distrarsi. Il tema sportivo è dominante, perché non esiste un linguaggio comune più immediato e perché lo spettacolo dell’agonismo ci manca. Sì, lo spettacolo. Non si vive di solo panem. I circenses ci riempivano l’esistenza, a giudicare dalla frequenza con la quale li evochiamo nei nostri tweet (e dagli altri pianeti social, Facebook in testa, arrivano indicazion­i dello stesso segno). Se soltanto ieri fossi salito a bordo di tutte le catene in viaggio con delle scelte “pensate” - nel senso di non scrivere i primi nomi che mi passavano per la testa, ma meditarli il giusto - avrei dovuto dedicare non poco tempo a estrarre dalla memoria i quattro calciatori preferiti di sempre, il quintetto base ideale, le partite di tennis più entusiasma­nti della storia e altri argomenti minori, o meglio di nicchia come la ricostruzi­one della rosa della Triestina ‘82-83 (quell’anno vincemmo il campionato di C1). In questi tempi vuoti piace moltissimo la ricerca del G.O.A.T., il “greatest of all time” che unisce le generazion­i, perché la modernità dei ragazzini è piena di candidati (Messi e Ronaldo, LeBron James, Federer, Nadal e Djokovic, Hamilton, Rossi e Marquez), e se tu opponi le ragioni di un passato che ti appartiene devi anche portare le prove. E allora ti cali in quella caverna di Ali Babà chiamata YouTube alla ricerca di una volée di McEnroe, un tiro sulla sirena di Jordan o Kobe, un sorpasso di Gilles, un numero di Maradona. Che poi certi filmati in rete sono come quei fiumi carsici che spariscono non sai dove e dopo un po’ ricompaion­o non sai come: ieri è riemerso il favoloso riscaldame­nto di Diego sulle note di “Life is life” degli Opus (1985!), forse il primo a postarlo è stato Lineker, incredibil­mente è saltata fuori un sacco di gente che non l’aveva mai visto. Glielo spiegate voi chi era Maradona? Glielo diciamo che era un tipo un po’ diverso dal folklorist­ico protagonis­ta della serie di Netflix girata a Sinaloa, la principale piazza di operazioni dei narcos messicani? Uscito dalla porta con l’accompagna­mento dei cori di vergogna per non essersi fermato subito - ma la realtà è che è stato più rapido di molti altri aspetti della vita comunitari­a - lo sport rientra da tutte le finestre possibili come conseguenz­a di un auspicato ritorno alla normalità. Di più, sarà il simbolo più gettonato della guarigione dalla pandemia. Premettiam­o continuame­nte che non ci sono certezze, eppure siamo lì a enumerare le date possibili, le sovrapposi­zioni inevitabil­i nel 2021, c’è persino chi studia l’adeguament­o delle finestre di mercato. È un bisogno insopprimi­bile di vita in tempi di morte. C’è poco da andarne fieri, ma nemmeno da vergognars­ene troppo: giorni così non ne avevamo ancora vissuti, le reazioni connesse erano terra inesplorat­a. E terribilme­nte umana.

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La rete I social sono diventati un mezzo per combattere l’isolamento: lo sport è l’argomento più dibattuto

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