«Così abbiamo sconfitto il virus»
Il tricolore Formolo tra isolamento e futuro: «Ora la pedalata di solidarietà»
La Uae-Emirates Quelle giornate negli Emirati «Ci è caduto il mondo addosso»
Mia suocera lavora in ospedale a Verona, pneumologia. Si deve fare qualcosa per chi soffre
Ora sono a Montecarlo e non sto andando in bici. Sono diventato Mastro fornaio...
Davide Formolo
Gianetti è stato come un fratello: il suo scrupolo ha impedito disastri
L’appuntamento più importante della giornata è alla sera, verso le nove. Con la suocera Maria Rosa, mamma della moglie Mirna. «Lei lavora nel reparto di pneumologia dell’ospedale Borgo Trento di Verona. Ci racconta tutto dall’interno, combatte in prima linea, ho capito davvero quanto è dura. Ecco perché sono stato il primo ad aderire alla proposta di Cipollini, Bugno e della Gazzetta di fare una pedalata virtuale a Pasqua per la gente che soffre. Noi corridori abbiamo un cuore, questa situazione ci fa scoprire il valore e il bello della vita. E dall’esperienza negli Emirati sono cambiato». Davide Formolo, veronese, campione italiano. Ha 27 anni, soprannome Roccia, ed è già tutto. E’ appena tornato dalla spesa in un supermercato di Montecarlo, «a 100 metri da casa. La bici no. Qui è tutto fermo. Non si può andare in Francia e in Italia, inutile fare un giro di dieci minuti soltanto a Monaco».
3 Formolo, come vive questo periodo?
«Mi sono trasformato in Mastro fornaio: mi piace fare cose nuove, pane, focaccia... Un po’ di scalini per muovere le gambe, un po’ di rulli, un’ora e mezzo, ginnastica. Anche se i rulli non ti danno tanta emozione: un conto fare un’ora in salita a 300 watt con la natura intorno, un altro in salotto o sul balcone, anche se si possono calibrare meglio le ripetute. Mangiamo poco, soprattutto bistecche e carne. Siamo professionisti, non dobbiamo prendere peso. Ma quando vedi le bare che vengono portate con i camion militari, come fai a pensare di tornare a correre? Siamo in guerra, anche se senza armi».
3Le pedalate virtuali?
«Ora è necessario, e come squadra abbiamo creato una piattaforma (Whoosh, ndr) sulla quale ci alleniamo insieme allo stesso momento. Sugli schermi dei ciclocomputer ognuno di noi è un puntino».
3Non si sa quando si potrà correre: e se si allungasse la stagione
IL NUMER0
31
Successi
La Uae-Emirates nel 2019 ha vinto 31 volte, di cui 8 con la rivelazione Tadej Pogacar, lo sloveno di 21 anni che aveva chiuso 3° la Vuelta. Nel 2020 già 11 centri: meglio solo la DeceuninckQuick Step, a quota 15
di un mese?
«Certo, meglio correre anche tutto novembre piuttosto che fare i ritiri a dicembre».
3Ci racconta la sua esperienza all’Uae Tour?
«La squadra è sempre stata chiarissima: priorità alla salute, non ci interessa che vinciate le corse, ma che, tornando a casa, non contagiate le vostre famiglie e rendiate la situazione peggiore. Quando abbiamo fatto il primo tampone, dopo la quinta tappa della corsa, eravamo tutti negativi. Poi al secondo tampone qualcuno non lo era più, e ci è caduto il mondo addosso. Inizi a vedere le persone con le mascherine, le ambulanze, l’ossigeno: sì, è venuta la “strizza” a tutti. Perché lo sport non c’entrava più nulla, era qualcosa di molto più serio».
3Lei non è mai stato positivo al coronavirus.
«Mai, nemmeno una linea di febbre. Sono tornato a casa dopo il secondo tampone negativo a distanza di 24 ore. Ti crei mille castelli in aria, e poi crolla tutto. Siamo sempre stati seguiti molto bene, dagli organizzatori di Rcs alle autorità degli Emirati. Ci hanno trattato con i guanti. Sono stato in autoisolamento per 15 giorni in hotel, per fortuna c’era un bel terrazzino e facevo i rulli all’aria aperta. Ma a un certo punto ero diventato nervoso, letto, rulli, letto. Ho cominciato a non rispondere più nemmeno a chi mi scriveva. Guardi la tv, vedi Bergamo: noi siamo professionisti che facciamo il massimo, abbiamo una mentalità molto competitiva, ma ti venivano in testa quelle immagini, e capivi che le priorità erano altre: pensi ai medici, agli infermieri che non potevano permettersi di stare a casa».
3Che cosa le resta alla fine?
« La cosa più bella è che abbiamo vissuto questa emergenza come una squadra. Il dispiacere maggiore l’ho provato per Diego Ulissi, che era qui quando è nata la seconda figlia, Anna. Abbiamo condiviso la nascita a distanza, e così adesso lei ha una trentina di zii acquisiti... E per festeggiare, Matar, il gran capo del team, ci ha fatto arrivare un migliaio di cioccolatini».
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