La Gazzetta dello Sport

«Ho fatto 12 tamponi Cercavo conforto negli occhi dei medici»

- Di Andrea Agostini

Ho avuto attacchi di panico, non riuscivo a respirare. State a casa

Capo comunicazi­one del team, ex corridore, Agostini è romagnolo di Cesenatico: i suoi 23 giorni di ospedale

«Sono stato in ospedale per 23 giorni, e in assoluto isolamento per 20, aspettando che diventassi negativo, e non lo diventavo. Io ho fatto il corridore con Pantani nei dilettanti, i corridori sono forti, però vi posso assicurare che quando sei là dentro, e vedi entrare e uscire medici e infermieri vestiti come se fossero su Marte, cambia tutto. E quando vedi un tuo amico di neppure 40 anni in terapia intensiva a un centimetro dall’essere intubato, ti chiedi davvero: ma che cosa sta succedendo?

In 26 giorni ho fatto 12 tamponi, finché con due negativi a distanza di 24 ore mi hanno fatto uscire. Nel Dna del test restava sempre una molecola del virus, e non c’è nulla da fare, resti in isolamento, e ti fanno compagnia soltanto i volti deformati dei medici dietro agli occhiali e alle loro tute. Ti aggrappi ai loro occhi, a quegli sguardi per trovare conforto. Io malato? Mai. Per come mi sono sempre sentito, in Italia sarei andato a correre a piedi, in ufficio e ad allenarmi in bicicletta, avrei fatto la vita di sempre. Parametri perfetti. Per questo ripeto: non sottovalut­ate il virus e restate a casa, proteggete­vi. Quel giorno, il 28 febbraio, avevo fatto un’ora di rulli, forte. Mi chiamano, ho 37°3, penso alla fatica. E invece in squadra siamo positivi in otto al coronaviru­s, io al secondo test. Ci mettiamo in autoisolam­ento. Il nostro general manager Mauro Gianetti è stato eccezional­e, come un fratello. Ha capito subito il pericolo che si correva, perché gran parte di noi erano asintomati­ci col tampone positivo. Ha evitato disastri, che contagiass­imo altre persone. Perché non sai quando guarisci.

E dobbiamo dire grazie a tutti, ci hanno trattato come meglio non si poteva: eravamo alla Cleveland Clinic di Abu Dhabi, un ospedale americano. In stanza avevo bici, rulli, computer, pedalavo per 40’ al giorno, facevo ginnastica, cercavo di tenere la testa impegnata. Mia moglie Francesca lavora all’ospedale di Cesenatico, ci parlavamo via Skype, ma l’isolamento è durissimo. Sei tu e solo tu. Ho sofferto tanto di testa: momenti difficili, non riuscivo a parlare. Hai una paura pesante: attesa, paura, non sai quando finirà. Ho avuto un attacco di panico impression­ante, non riuscivo più a respirare, a buttare giù l’aria. E anche ora che siamo guariti, nella hall dell’albergo di Abu Dhabi aspettando con Gaviria un aereo per tornare a casa, restiamo a distanza. È paura».

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A sin. con Gaviria
Agostini A sin. con Gaviria

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