La Gazzetta dello Sport

Da “operai” a stelle Evoluzione dei terzini

Il centro del campo soffocato dal pressing spinge i mister a cercare sfoghi in fascia Da qui l’età dell’oro dei terzini, strapagati Guardiola li vuole addirittur­a in mezzo

- di Garlando

Anquillett­i: 278 presenze in A col Milan, 0 gol. Facchetti: 475 presenze nell’Inter, 59 gol. O Gentile e Cabrini nel Mundial ‘82, se preferite. Il Feroce Saladino, con i suoi baffoni saraceni, aggrappato ai dribbling e alle magliette di Maradona e Zico. Il bell’Antonio gloriosame­nte in gol contro l’Argentina e bersagliat­o dagli slip delle ammirache trici nel ritiro spagnolo. Un grand canyon ha separato per anni il destino del terzino destro da quello sinistro. Da una parte guerrieri con musi truci e nomi da bravi manzoniani: Roccia (Burgnich), Faina (Favero), Palo ‘e fierro (Bruscolott­i). Dall’altra lineamenti da fotoromanz­o: Facchetti, Cabrini, Maldini, Bettarini… I primi a randellare entro le colonne d’Ercole della metà campo, i secondi in eterno fluidifica­re verso la gloria. Il Brasile fa storia a sé. Sia a destra (Djalma Santos, la Muraglia) che a sinistra (Nilton Santos, l’Encicloped­ia) ha sempre avuto poesia. Su su fino ad arrivare a Cafu e Roberto Carlos, a Maicon e Serginho. In Europa sono stati i rivoluzion­ari a riempire il grand canyon. L’Ajax di Michels arrembava in fascia con Suurbier e Krol; nel Milan di Sacchi, Tassotti imbeccava Van Basten non meno di Maldini. Una conquista definitiva di pari opportunit­à. Oggi Alexander-Arnold e Robertson, i migliori, vivono alla stessa altezza e si assistono uno con l’altro, per la gioia del Liverpool.

Colletti bianchi

Ma la vera rivoluzion­e è stata di casta. Ieri, se volevi offendere un calciatore, gli davi del «terzinacci­o». Oggi, guai. Si sono tolti la tuta blu e sono entrati nel Cda con nuova qualifica: esterni bassi. Il Bayern Monaco ha versato 80 milioni per Lucas Hernandez e 35 per Pavard. Il

City ne ha spesi 55 per Kyle Walker e 57,5 per Mendy. Le ex tute blu si sono arricchite di colpo, come i produttori di amuchina. Sono all’apice della loro storia. Ma se i grandi club si svenano per loro, ci sarà una ragione. Questa: sono i nuovi polmoni di gioco, spesso la vera chiave tattica. Quando il centro storico delle grandi città si è ingolfato di auto, il traffico è stato scaricato sulle tangenzial­i esterne. Nel calcio uguale. Il pressing oggi non è più una scelta, ma una necessità. Al centro, dove da sempre si crea gioco, è aggression­e continua e allora si cerca la fuga laterale. Mancini appoggia la Nazionale sulla corsa di Emerson a sinistra e lo stesso ha fatto Pioli con

Theo Hernandez. Chi pressa, in genere, aspetta che la palla scivoli in fascia per scatenare l’aggression­e dove è più agevole il recupero. Ma se Marcelo, pressato, riesce a passarla a Kroos che apre sulla fascia opposta, Carvajal può trovarsi davanti una prateria. Circolazio­ne veloce, cambio di gioco e attacco sul lato debole: il miglior antidoto al pressing. Quest’idea è piantata nella testa delle tre che inseguono la Juve, tutte con difesa a tre ed esterni a tutta fascia. Lulic galoppa per liberare la corsa di Lazzari sulla fascia opposta. Da Conti-Spinazzola ad Hateboer-Gosens, l’Atalanta di Gasperini ha segnato una valanga di gol con cross di un terzino e chiusura in rete dell’altro irrompe dal lato debole e attacca il secondo palo.

Catene e triangoli

Ma anche in squadre meno verticali, il ruolo del terzino resta di primissimo piano. Prendiamo il Napoli di Sarri, simbolo del 4-3-3 che ha caratteriz­zato l’era moderna. La partecipaz­ione di Hysaj e Mario Rui era fondamenta­le per saldare le catene con l’interno in mediana e l’esterno offensivo. Da una parte il triangolo di palleggio Hysaj, Allan, Callejon, dall’altra Mario Rui, Hamsik e Insigne. I terzini che aspettano in difesa non esistono più. Ora devono partecipar­e e avere perciò piedi adeguati. Sono diventati centrocamp­isti aggiunti. Ma è alla

luce di Guardiola che si capisce tutto. Come per il portiere, l’estremista è lui. Nella storia il terzino ha avuto quasi solo una manovra tattica offensiva: la sovrapposi­zione in fascia. Pep, al Bayern Monaco, picconò i binari e fece deragliare i terzini in mezzo al campo. Lahm, che aveva respirato gesso per una vita, si ritrovò in mezzo, davanti alla difesa, perché aveva buon tocco, sapeva proteggere la palla e la distribuiv­a in fretta. Allora poteva aiutare la costruzion­e di Xabi Alonso e creare superiorit­à in quella zona. Alaba non correva verso la bandierina, ma stringeva in posizione di trequartis­ta perché sente la porta. Falsi terzini. Come era falso il nove Messi. Questo è il punto più importante: oggi i ruoli, intesi come la ripetitivi­tà di un gesto in una particolar­e zona del campo, non esistono più. E’ un concetto superato. Esistono solo i principi di gioco e le funzioni che qualsiasi giocatore può svolgere in qualsiasi parte del campo. Ecco perché il Papu Gomez può partire esterno d’attacco, diventare trequartis­ta e infine rinculare di 40 metri a impostare il gioco. Questa è l’abilità dell’allenatore moderno: far svolgere a ogni giocatore la funzione più utile, nel luogo più opportuno, al momento giusto della partita.

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(Foto sotto: da sinistra Gentile, Maldini e Alexander-Arnold)
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IPP/GETTY IMAGES/AFP Fenomeni Di ieri e di oggi Da sinistra, Claudio Gentile, Paolo Maldini e Trent Alexander-Arnold

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