Thompson sempre in corsia «Ora la sfida è in ospedale»
La statunitense più medagliata fa l’anestesista a Charleston: «Quanti aiuti dal nuoto»
Jenny Thompson e una vita in corsia: prima in acqua ora in ospedale. La grande statunitense, velocista e delfinista vincitrice di 8 ori olimpici, si ritirò come meglio non avrebbe potuto: ricevendo il camice bianco da medico, in una cerimonia solenne durante i Mondiali di Indianapolis del 2004, proprio dopo le sue ultime conquiste ai Giochi di Atene. Fu il regalo più bello nel momento del passaggio a un’altra carriera: quella di anestesista. Quando era una matricola della facoltà di medicina alla Columbus University di New York, visse in diretta l’11 settembre 2001 il crollo delle Torri Gemelle. Ora è al centro di un’altra emergenza, quella del coronavirus. E le compagne del nuoto le stanno venendo in soccorso.
Aspettando il picco
Jenny, nata 47 anni fa a Danvers, nel Massachusetts, ora lavora a Charleston in South Carolina. Aveva confessato ad alcune ex compagne che il suo ospedale non aveva abbastanza attrezzature in vista dei picchi di epidemia previsti per fine mese. Ma non aveva chiesto aiuto. Gabrielle Rose e Lea
Maurer si sono però rese disponibili lanciando la campagna «Go Jenny Go». E, grazie alla raccolta fondi arrivata a 9 mila dollari nella scorsa settimana, le attrezzature sanitarie di prima necessità sono arrivate. Non solo: anche il New York Presbyterian Hospital, dove la situazione è più critica, ha beneficiato di aiuti concreti.
Sveglia alle 4
L’ex nuotatrice si sveglia alle 4 del mattino ed è preoccupata per il lavoro in trincea. «Mi aspetto un’ondata di casi nei prossimi giorni. Mi ha toccato il cuore come il mondo del nuoto stia rispondendo spontaneamente con tanti contributi. Ora la vera lotta è proteggerci tutti. A New York ero studente nel 2001 e mi sentivo impotente, avrei voluto aiutare gli altri ma in realtà non c’era molto che potessi fare. Qui invece per questa pandemia c’è molto da fare. Mi occupo di pazienti intubati a cui somministriamo l’anestesia generale e so che l’intubato è un potenziale rischio. Come anestesisti siamo più a rischio di altri medici e faremo turni più lunghi dalla prossima settimana. Utilizzo 4 diverse paia di scarpe, spruzzo disinfettanti in tutti gli indumenti che a casa metto subito in lavatrice. So che tutto ciò che tocco può essere contagioso e faccio ogni cosa per proteggermi».
Ultima frazione
Sposata con 3 figli, Jenny ha nuotato anche a Stanford e già pensava «che un giorno avrei voluto prendermi cura di pazienti critici». Non a caso, quando nuotava in staffetta, a lei toccava sempre l’ultima frazione: per la sua affidabilità. «Jenny sapeva di poter fare la differenza - ricorda la Maurer e sapeva come raggiungere l’obiettivo come adesso sa di poter aiutare le persone a guarire».
La calma olimpica della Thompson è un’ottima carta da giocare anche nelle corsie di ospedale: «In tanti vanno fuori di testa, io ho una mentalità sportiva e sappiamo che aiutandosi l’uno con l’altro possiamo salvare i malati. In fondo non c’è grande differenza tra aiutare una staffetta a vincere un oro olimpico o una squadra di medici, l’importante è fare gruppo». Per salvare persone, l’oro della vita.