La Gazzetta dello Sport

«Il corpo chiede tempo, ma non c’è più tempo»

Beltran: «Mente e fisico sono integrati» Ferrarini: «Lo sportivo è forte finché va tutto bene, la sconfitta è una tragedia»

- Di Luca Gialanella

Non è solo il buio al nostro interno, ma anche quello che i corridori trovano nel loro sport. Non c’è un secondo da perdere, dentro o fuori, senza respiro. Omar Beltran, mental-coach e allenatore, argentino trapiantat­o a Bergamo da tanti anni, ha avuto esperienze di altissimo livello nel volley con Velasco ed è molto noto nel ciclismo: segue anche i giovani talenti del Team

Colpack-Ballan. Spiega: «Ogni volta che un direttore sportivo viene e mi dice “il corridore ha perso motivazion­i, non si impegna più, non ha più la testa”, io chiamo il ragazzo e gli dico: ”Fatti un bell’esame del sangue”. Sì, nel 99% dei casi ha la mononucleo­si. Vedo corridori che dicono “non vado” e come risposta si allenano ancora di più, consumando le poche energie che hanno, invece di riposare. Da Freud in poi abbiamo scisso la mente e il corpo, ma siamo tutti integrati: nel nostro intestino sono fabbricati il 97% degli ormoni della felicità e il sistema immunitari­o. Il corpo chiede pazienza per guarire. E invece si entra in un cerchio negativo, perché l’atleta di alto livello è mono-focus: deve solo andare forte. Così perde i riferiment­i, si fa domande che non hanno risposte e perde la voglia. Serve la saggezza del contadino: se il terreno non è fertile, non semina. Se lo sportivo sta male, deve fermarsi. Ma nello sport non c’è più pazienza, non abbiamo più i tempi umani. E sa che cosa dico ai miei ragazzi, adesso che non si corre? Bene, studiamo inglese».

Con Ballan

Alberto Ferrarini, ricercator­e e motivatore, è stato al fianco di Alessandro Ballan e ora di Leonardo Bonucci. Racconta: «Lo sport va analizzato come una metafora. Il calcio è uno sport di squadra, tante persone unite, ma il portiere ha un ruolo solitario, è solo, è l’ultimo: non è un caso che molti portieri siano caduti in depression­e. Il ciclista è solo, è un uomo che sta correndo in bicicletta, che sta scappando verso la vittoria. Bene, e allora perché la depression­e, cioè una pressione che una persona mette a se stessa perché il cervello inconscio non trova una soluzione? Perché si sente un fallito: aveva tante aspettativ­e e non le ha realizzate. Il cervello non trova una soluzione e si inceppa perché non ha un piano B». Poi aggiunge: «Gli sportivi sono forti finché va tutto bene, ma se qualcosa va male non riescono a rientrare più nei loro parametri. E sono poco preparati a gestire le risposte, perché puntano tutte le carte sul momento, sull’istante, e se va male tendono a isolarsi, a sentirsi soli e abbandonat­i. Non si accetta la sconfitta come fase di crescita, per uno sportivo è una tragedia. E la persona giusta che si incontra non è altro che quel piano B che mancava».

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