La Gazzetta dello Sport

L’ITALIA ABBRACCIA SILVIA «SONO FORTE, STO BENE» LA CONVERSION­E ALL’ISLAM E LA QUESTIONE RISCATTO

La volontaria rimpatriat­a dalla Somalia: «Il cambio di fede? Nessuno mi ha costretto, ho chiesto io di leggere il Corano E non c’è stato matrimonio». Festa nel suo quartiere a Milano

- di Pierluigi Spagnolo

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Un grande sorriso, dietro la mascherina. Quindi l’abbraccio con la famiglia, tra le lacrime, appena scesa dall’aereo militare.

Silvia Romano, la 25enne cooperante milanese, rapita in Kenya il 20 novembre del 2018 e liberata sabato in Somalia, è atterrata ieri a Ciampino. È apparsa in buona salute, scendendo dall’aereo con guanti, mascherina, capelli e corpo coperti da una lunga veste verde, un abito tradiziona­le somalo. È corsa subito dove la aspettavan­o i suoi cari. «Sto bene, mentalment­e e fisicament­e. Ora voglio solo stare tanto tempo con la mia famiglia. Sì, sono stata forte», le prime parole di Silvia, dopo l’abbraccio con papà, mamma e la sorella, nell’aeroporto militare di Roma. «Il sorriso di Silvia infonde in tutti noi, in tutto il Paese, una grande energia, una boccata di ossigeno più che mai necessaria in questo momento. Quando in Italia lavoriamo tutti insieme, si ottengono i risultati», ha detto il premier Giuseppe Conte in aeroporto, dopo aver salutato la ragazza sfiorandol­e il gomito, come impongono le regole anti-Covid sulla distanza.

Poi, con magistrati e investigat­ori, 2 ha ricostruit­o 535 giorni di prigionia.

Pochi minuti per riassapora­re la normalità ritrovata. Poi la ragazza è stata interrogat­a dai pm della procura di Roma e dagli investigat­ori del Ros, per chiarire quasi 18 mesi di prigionia, la sua condizione, la trattativa per il rilascio. Silvia ha anche spiegato di essersi «convertita all’Islam, lentamente» durante la lunga prigionia in Somalia. «È stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizion­e da parte dei rapitori, ho chiesto io di leggere il Corano a metà della prigionia. Non è vero invece che sono stata costretta a sposarmi, non ho avuto costrizion­i fisiche né violenze. Sono stata in quattro covi. I rapitori mi hanno subito assicurato che non mi avrebbero ucciso», ha spiegato la ragazza. Silvia era stata rapita il 20 novembre 2018, prelevata con forza da uomini armati, in un villaggio del Kenya (a Chakama, a 80 chilometri da Nairobi) dove lavorava come volontaria per Africa Milele, una onlus marchigian­a che si occupa di bambini in difficoltà. Dopo il rapimento, sarebbe stata ceduta ai jihadisti di Al Shabaab in Somalia, rimanendo a lungo nelle loro mani. Alla liberazion­e della ragazza, avrebbero collaborat­o l’intelligen­ce turca (Ankara è influente nel Corno d’Africa come in Libia) e quella somala, oltre a quella italiana.

Per Milano è stato un 3 giorno di festa.

Un lungo applauso, l’inno di Mameli e il suono delle campane della chiesa, nel quartiere Casoretto, hanno accompagna­to le immagini in diretta tv di Silvia che scendeva dall’aereo. La cooperante è cresciuta proprio in questa zona di Milano, dove i residenti si sono affacciati dai balconi per partecipar­e ad un estemporan­eo flash-mob con palloncini e striscioni. La famiglia Romano tornerà a casa questa mattina, per ritrovare un po’ di intimità.

Non mancano le polemiche, 4 anche su una vicenda a lieto fine.

Al centro della diatriba c’è l’ipotesi del riscatto, che potrebbe essere stato pagato per la liberazion­e di Silvia (fonti somale parlano per esempio, alla Adnkronos, di 1,5 milioni di euro). Ipotesi ovviamente non confermata ma neppure smentita. «Siamo felici che una persona privata della libertà personale sia di nuovo libera, anche se diverse zone d’ombra andranno chiarite. Ma sono preoccupat­o per il pericolo che tutti gli italiani, se all’estero, correranno: essere dei bancomat mobili alla mercé di terroristi e banditi, pronti per essere sequestrat­i perché il governo riconosce candidamen­te che questo crimine, paga», ha detto il deputato di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami. «È chiaro che nulla accade gratis, ma non è il momento di chiedere chi ha pagato», si è limitato a dire il leader della Lega, Matteo Salvini. «La bellissima notizia del ritorno in Italia di Silvia non può essere certo offuscata dalle solite polemiche sul pagamento di un eventuale riscatto o da quelle su una sua eventuale conversion­e religiosa», è la replica di Paolo Cento, di Sinistra Italiana-Leu.

E ci sono altri italiani nelle mani dei rapitori.

Si tratta di padre Paolo Dall’Oglio e di padre Pier Luigi Maccalli. Il 29 luglio saranno 7 anni dal sequestro in Siria di Dall’Oglio, gesuita romano, rapito a Raqqa, in quella che nel 2014 sarebbe diventata la capitale dell’autoprocla­mato “califfato” di Abu Bakr al-Baghdadi. La zona di Raqqa è stata liberata alla fine del 2017, di Padre Paolo non si sa nulla. Padre Maccalli è stato invece catturato in Niger, a settembre 2018. È passato un mese dal filmato di 24 secondi, che mostrava padre Maccalli ancora vivo, in quella circostanz­a apparso in Mali assieme a Nicola Chiacchio, un altro italiano rapito probabilme­nte durante una vacanza. «Lavoreremo per riportare a casa gli altri che sono ancora nelle mani dei rapitori, con lo stesso impegno profuso per Silvia», ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

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EPA In lacrime Silvia Romano, 25 anni, riabbracci­a la mamma, a Ciampino
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