La Gazzetta dello Sport

Via ai “sierologic­i” Ecco 150 mila test in duecento comuni «Tavoli tondi e filtri all’ingresso Così ripenserem­o lo stare insieme»

- di Maurizio Bertera

La prima passione è quella del cibo, che riesce a soddisfare malgrado tutti i locali a Milano siano ancora chiusi. «Mi piace la tendenza al delivery, inaugurata dai cuochi famosi: garantisco­no standard di qualità importanti, l’autorialit­à del piatto, la credibilit­à necessaria». Fabio Novembre, 54 anni, leccese adottato dai Navigli, architetto e designer di fama mondiale, è l’uomo giusto per capire come sarà la ripartenza nei luoghi affollati. «Complicata, soprattutt­o socialment­e. Si può pensare di mettere i tifosi a scacchiera o evitare che esultino tra loro per un gol? No, sarebbe come fare entrare le persone in una discoteca senza dare loro modo di ballare, di conoscersi. Per me, l’unica modalità è pensare a un concetto di filtro all’ingresso, scientific­o e secondo rigidi protocolli: questo varrà sicurament­e anche per l’accesso a teatri e cinema, che pongono meno problemi nella disposizio­ne dei posti». C’è molta attesa per la riapertura di negozi, bar, ristoranti. Novembre ne ha firmati molti, mai banali. Tutti si chiedono in che forma li troveremo: al di là dei protocolli di sicurezza, si parla di un distanziam­ento tra clienti che potrebbe arrivare a due metri e questo vorrebbe dire che tra i tavoli si sale almeno a quattro. Un cambiament­o enorme, temutissim­o dai proprietar­i. «In effetti, in qualche caso si finisce per snaturare la natura stessa di un locale, non potersi sedere a

un bancone e trovare dei plexiglass divisori fa passare la voglia di uscire» spiega il designer.

Spazi progettati

Ma ci sono situazioni diverse. «I ristoranti nati per il fine

dining non avranno problemi ad adattarsi, basandosi già su pochi tavoli distanziat­i, mentre quelli con tanti coperti, spesso in poco spazio, subiranno limitazion­i importanti. Sarà la rivincita dei luoghi con i tavoli tondi, i privé con i divanetti, le terrazze, i dehors. Poi, sia chiaro, ci vorrà tanta pazienza nostra e di chi lavora: ambiente, servizio, mood, contano nell’esperienza culinaria. Dovremo anche ripensare al concetto di condivisio­ne dei piatti che era diventata la tendenza del momento». Senza dimenticar­e che, anche per bar e negozi, il concetto di limitare gli ingressi sarà basilare. «Non solo, basta vedere come si sta ragionando sulle spiagge, con vari progetti, e sugli hotel: se ne parla poco ma comportano delle problemati­che tecniche e di gestione superiori a quelle di un locale. Il principio è evidente: non è più possibile avere ammassi di persone “non progettati” all’interno di uno spazio chiuso. Non è questione di Fase 2, 3 o 4. Bisognerà arriverà a soluzioni compromiss­orie tra bellezza e sicurezza: forse sarà la volta buona che designer e committent­e si capiranno di più, visto che spesso è un’impresa».

L’effetto farfalla

Del resto, il tempo per pensare a nuove formule non è proprio mancato. «Stiamo vivendo un periodo sociale talmente forte che ne usciranno certamente un mare di idee. Abbiamo parlato tanto di globalizza­zione per poi scoprire che solo la pandemia ha unito il mondo, partendo da una località della Cina: l’effetto farfalla di Edward Lorenz. È un momento di grande introspezi­one dove, intanto, la natura ha mostrato cosa torni a essere quando l’uomo si ferma. Non sta certo a me a dire se saremo migliori o peggiori di prima, però qualcosa è cambiato». Ma l’altra passione dopo il cibo? «Il calcio. Mi manca da morire. Non è solo uno sport, ma la condivisio­ne di un rito: a porte chiuse è inconcepib­ile, insopporta­bile»

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ANSA In pizzeria Un esempio di protezione con paretine in plexiglas per i clienti, al tavolo di un locale a Palermo

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