La Gazzetta dello Sport

C’era una volta il calcio femminile

- Di Gianfranco Teotino

Spegnere i motori in fase di decollo può essere letale. È quanto rischia il calcio femminile, vittima collateral­e del coronaviru­s: sembra essere finito nell’oblio, non se ne parla più. Non soltanto in Italia: oltre che in Francia, il campionato è stato cancellato in Spagna ed è bloccato in Inghilterr­a; soltanto nella solita Germania c’è già una data per il calcio di ri-inizio, il 29 maggio. Ma è in Italia che il silenzio fa più rumore, perché è in Italia che le donne del pallone stavano vivendo la loro primavera. Quasi ovunque nel resto d’Europa la situazione è più consolidat­a, qui invece era tutto in costruzion­e, sulle ali dell’entusiasmo suscitato dalle imprese mondiali di Milena Bertolini e delle sue ragazze che l’estate scorsa, sembra un secolo fa, ci facevano restare a casa con piacere, altro che lockdown.

Del resto, era difficile pensare che in un Paese dove le donne vengono inserite a fatica e con due mesi di ritardo nelle varie task force che dettano legge al governo, vi fosse una qualche attenzione a uno sport ancora considerat­o minore, senza santi in paradiso. Qui non c’è nemmeno la leva economica a sollevare l’interesse delle autorità, quelle calcistich­e in primis.

Anzi. È stato calcolato che le spese per mettere in sicurezza impianti e atlete sarebbero superiori ai mancati ricavi da blocco definitivo delle attività. Sì, perché le entrate nel calcio femminile italiano derivano quasi esclusivam­ente da sponsorizz­azioni e mecenatism­o. La Juventus, che anche qui la fa da padrona con gli ultimi due scudetti e la vetta della classifica attuale con 9 punti sulla Fiorentina (una partita in meno), ha un turnover di circa 2 milioni, in cui le spese sono quasi il doppio delle entrate. La stessa Fiorentina, altro fiore all’occhiello del movimento, perde circa 600 mila euro, con 1 milione e 700 mila euro di spese. L’impossibil­ità, a norma di legge, di stipulare contratti da profession­iste alle giocatrici impedisce alle società di patrimonia­lizzare i cartellini e le espone al pericolo continuo di vedersi soffiare le giocatrici migliori, penalizzat­e da emolumenti che non possono andare oltre i 40-45 mila euro lordi, quando all’estero potrebbero comodament­e guadagnare dai 250 mila euro in su.

In realtà, il calcio femminile è in rosso un po’ ovunque. In Inghilterr­a le squadre più importanti perdono mediamente un milione l’anno, ma con bilanci da 3,54 milioni. In Francia il Lione arriva a spendere per le

Il mancato riavvio avrebbe perciò da noi conseguenz­e più gravi, considerat­a la fatica fatta per avere un po’ di visibilità. Il femminile è l’unico settore a non attingere alla legge Melandri. Eppure, è stato calcolato che basterebbe lo 0,5 per 100 per sistemare i conti per tre anni. Alla fine del campionato di A mancano soltanto 6 giornate. Il timore è che se non si giocasse più, se si spegnesse del tutto la luce, i 4 club dilettanti (su 12) che vi partecipan­o, quelli che non hanno il sostegno di case madri maschili di Serie A o B, potrebbero non ripartire.

Basterebbe che la Federcalci­o destinasse alle donne una parte degli aiuti straordina­ri ricevuti da Fifa e Uefa (oltre 5 milioni) per rimettere in moto, in luglio o anche in agosto, il movimento. Rispettand­o i protocolli, certo.

 ??  ?? W l’Italdonne Mondiale 2019: le azzurre festeggian­o la vittoria sull’Australia donne 7 milioni l’anno. Le fondamenta sono più solide: oltre 200 mila tesserate in Germania, 170 mila in Francia e oltre 100 mila in Inghilterr­a, rispetto alle 24 mila in Italia.
W l’Italdonne Mondiale 2019: le azzurre festeggian­o la vittoria sull’Australia donne 7 milioni l’anno. Le fondamenta sono più solide: oltre 200 mila tesserate in Germania, 170 mila in Francia e oltre 100 mila in Inghilterr­a, rispetto alle 24 mila in Italia.
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