LA RIVOLTA
La maggioranza dei club contesta il protocollo. I calciatori rifiutano la clausura. I medici chiedono lo «scudo penale»
Chieste modifiche al protocollo: niente quarantena di gruppo in caso di positività, abolizione dei ritiri e no alla responsabilità penale dei medici. Oggi un nuovo vertice
«Niente ritiro blindato da lunedì». «Ma no, aspettate». Il mondo del calcio vive un’altra giornata tormentone fra incontri, sussurri e grida sulla sofferta ripartenza degli allenamenti collettivi. Una situazione paradossale dopo il via libera con la riscrittura del protocollo. Salta tutto allora? Ancora no, la Lega prova a rilanciare: chiede un incontro con Federmedici e Federcalcio per un nuovo protocollo condiviso con ministeri e Cts. La cornice del confronto così cambia continuamente scenografia: ora sono di nuovo Lega e Federazione a essere una di fronte all’altra. La partita procede e un tempo si giocherà anche oggi, quando le parti si ritroveranno in un’altra video-riunione. Sono i club a essere “insorti”: troppo rigide le disposizioni stabilite nel protocollo del Cts (che aveva integrato quello della Federazione), talmente stringenti da rendere per molti di fatto impraticabile la ripartenza. Per questo quasi tutte le società chiedono una rivisitazione meno severa e più elastica.
Non vuol dire: non vogliamo ripartire. Piuttosto: prima di partire chiariamo alcune cose.
I nodi
I punti su cui la stragrande maggioranza delle società condividono le preoccupazioni sono sostanzialmente tre: la quarantena a cui verrebbe sottoposta l’intera squadra in caso di nuova positività; la responsabilità penale dei medici; il lungo ritiro “bolla” di due settimane. Le contro-richieste si rifanno al modello tedesco: in caso di nuovo contagio, le società vogliono che sia solo il singolo a procedere all’isolamento. Così come che la responsabilità non gravi solo sui medici sociali ma venga condivisa secondo modalità che sarà il governo a stabilire. E infine i ritiri: i club chiedono di cancellarli dal protocollo e di poter procedere come succede adesso (giocatori in campo e poi a casa, e dal 18 con allenamenti collettivi veri, non a gruppi di 7-8 giocatori). Anche in questo caso con riferimento a quanto accade in Germania e negli altri tornei europei . La nota della Lega di A della tarda serata di ieri conferma: «Si è svolta nel pomeriggio (ieri) una riunione tra rappresentanti delle società e medici delle stesse per un’analisi delle indicazioni sugli allenamenti collettivi. L’incontro si è svolto in un clima propositivo e di collaborazione tra Club e componente medica, con l’obiettivo di trovare soluzioni idonee e praticabili nell’applicazione delle istruzioni ricevute, con particolare riferimento alla quarantena di gruppo e alla responsabilità dei medici sportivi». Questa mattina, a a tal proposito «la Lega Serie A, insieme ai vertici della FMSI e al Dott. Nanni, si riunirà con la Figc, per individuare insieme un percorso costruttivo di confronto con il Ministro della Salute, con il Ministro per le politiche giovanili e lo Sport, con il CTS, e giungere a un protocollo condiviso». Protocollo che, una volta individuato, dovrà seguire il solito iter: se Lega e Figc troveranno una sintesi comune, dovrà poi essere inviato e approvato dal governo.
I ritiri
La questione ritiri resta la più dibattuta: l’a.d. interista Beppe Marotta è stato il primo a sollevare la questione, seguito dalla quasi totalità dei club di A. Dal Milan (ieri rappresentato dal d.t. Maldini) al Napoli, dall’Atalanta a Genoa, Samp, Fiorentina,
Verona, Sassuolo, Brescia, Cagliari («tutti i club concordano nel chiedere di apporre una serie di modifiche di buon senso» ha detto il presidente Giulini): non tutte con la stessa intransigenza dei nerazzurri, ma ugualmente decise a chiedere un allentamento dei paletti. L’opposizione al ritiro nasce da differenti presupposti, soprattutto organizzativi: è difficile (se non impossibile data la chiusura degli hotel) individuare una struttura in grado di accogliere parte o l’intero gruppo squadra. Solo la Juventus ha nel J-Hotel l’alloggio adatto ma non intende, per questo, essere l’unico club a convocare i giocatori in ritiro: lo farà solo se lo faranno anche gli altri. Inoltre, se il gruppo negativizzato è costantemente sotto controllo non avrebbe senso, per i club, procedere con le due settimane di clausura. Certamente sgradita anche ai calciatori. L’Aic si associa ai club anche su un altro aspetto: «Le modalità di gestione delle eventuali nuove positività non sembrano idonee a garantire la conclusione del campionato; esiste il rischio di doversi fermare nuovamente, vanificando così tutti gli sforzi profusi».
Altra attesa
E’ il presupposto da cui tutto ha origine: prima di riavviare questa complicatissima macchina organizzativa, le società chiedono certezze anche attraverso l’attuazione di un protocollo più semplice. Richieste rivolte a Federazione e governo. Il Premier Conte, appena finita la maratona del decreto «rilancio» oggi è atteso dalla volata del Dpcm sulle riaperture. Difficile che oggi si muova qualcosa, più probabile che il famoso e atteso incontro slitti all’inizio della prossima settimana. Ma il governo non ignora la questione calcio e non solo con il ministro dello sport, Vincenzo Spadafora. Ieri, dal ministero della Salute è filtrato un messaggio di attenzione che è riassunto in questo ragionamento: abbiamo autorizzato gli allenamenti, ora vediamo come evolve il quadro epidemiologico, abbiamo bisogno che i dati positivi si consolidino. Nessuna certezza ma neanche una chiusura preconcetta. In fondo, qualcosa che non è troppo distante da quel famoso paragrafetto del protocollo Figc aggiornato che si augura l’«allentamento». Insomma, servono due settimane. Che però non ci sono. Ai club non va questo investimento al buio, mentre la Federcalcio spinge per cominciare questo processo, completando tutte le visite preventive e cominciando con gli allenamenti collettivi. TEMPO DI LETTURA 4’16’’
Chi dice di no
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