La Gazzetta dello Sport

«La Federcalci­o deve avere il piano B se il campionato non dovesse finire»

Il presidente del Coni: «Tifo per ricomincia­re, ma il Covid spinga il calcio a cambiare»

- Di Andrea Di Caro

«Sono il primo a fare il tifo perché il calcio riprenda. Ma dopo pochi giorni alla parola calcio si è sostituita la parola serie A. Da mesi insisto: puntiamo a ripartire ma non essendo possibile fare previsioni di lunga scadenza, viste tutte le variabili, deve esistere anche un piano B. Non averlo è un errore».

nche nei momenti più drammatici ci sono eventi che fanno capire che c’è una luce in fondo al tunnel. Quella che moltissimi italiani hanno rivisto con la ripresa delle attività e di un cauto ritorno alla normalità, è stata addirittur­a abbagliant­e per il presidente del Coni Giovanni Malagò. Stavolta lo sport però non c’entra, la luce si chiama Beatrice ed è la nipotina nata due giorni fa: «Sono diventato nonno per la terza volta in un anno e mezzo. La vita continua, anzi comincia... E devo dire che ci voleva una gioia simile per mettere alle spalle questi mesi così difficili e angosciant­i».

3È stato il periodo più difficile di tutta la sua lunga carriera di dirigente sportivo?

«Sì, senza ombra di dubbio. Stavolta non c’erano scadenze o competitor da affrontare per una elezione o qualche competizio­ne da organizzar­e. Ci siamo svegliati una mattina e abbiamo trovato un nemico che ci ha cambiato la vita: senza sapere come afferrarlo, combatterl­o, superarlo. Costretti a chiuderci in casa. Al disagio vissuto come tutti gli italiani, per ruolo ho aggiunto quello di chi ha cercato di tenere insieme e rassicurar­e presidenti federali, dirigenti di comitati regionali, atleti. In questi mesi di decreti del governo, ordinanze regionali, testi definitivi, conferenze stampa, ho scaricato ogni giorno tre-quattro batterie del cellulare. È stata dura. Adesso tutti spingono per ripartire: chi per interessi sportivi, chi per competizio­ne, chi per ragioni economiche. C’è un’ansia, una esigenza che sta creando una fortissima pressione nei confronti del sistema e delle istituzion­i sportive».

3Il calcio italiano non si è distinto per visione comune, unione e coerenza. Altre discipline hanno deciso cosa fare in fretta. E anche all’estero c’è stata maggiore sinergia tra politica e istituzion­i calcistich­e nella scelta di riprendere o chiudere i campionati. «Ribadisco quanto vado dicendo dall’inizio del Covid 19. In Italia ci sono almeno 15 sport di squadra. A torto o a ragione tutti, nel giro di poche settimane, hanno chiuso i battenti e deciso di non assegnare gli scudetti. Il calcio, un po’ perché è un mondo a parte e un po’ per interessi economici, ha voluto continuare la sua partita e chiudere i campionati. È un suo diritto e un dovere: conosco le carte, le deleghe, l’autonomia della Figc e il rimando della Federazion­e alla Lega dell’organizzaz­ione dei campionati. E dico, bene, benissimo: sono il primo a fare il tifo perché il calcio riprenda. Ma dopo pochi giorni alla parola calcio si è sostituita la parola Serie A. Dilettanti, Lega pro, Serie B, hanno capito abbastanza presto che con certe dinamiche di protocollo non erano in condizioni di riprendere. Da mesi insisto: puntiamo a ripartire ma non essendo possibile fare previsioni di lunga scadenza, viste tutte le variabili esistenti, deve esistere anche un piano B. Non averlo è un errore. Faccio un esempio: domani usciamo in barca da Napoli per raggiunger­e la Corsica perché il mare è calmo, ma se dopo poche miglia comincia ad alzarsi, si deve prevedere anche di tornare indietro o di cambiare rotta: arrivare ad ogni costo non può essere l'unica soluzione. Un comandante minimament­e giudizioso deve avere alternativ­e. All’estero i campionati o li hanno chiusi oppure, chi ha deciso di riaprirli o intende farlo nel frattempo, ha messo tutto in sicurezza nel caso di un nuovo stop. Parlo di accordi con le varie componenti e con i broadcaste­r. Come la Bundesliga...».

3A proposito che effetto le ha fatto il ritorno del pallone a porte chiuse in Germania?

«Le dico la verità, era il weekend della nascita di mia nipote e non l'ho seguita. Ma mio padre, malato di calcio, che ha 88 anni e non perde una partita mi ha detto: “Giovanni mi vergogno a dirtelo ma dopo 10 minuti del secondo tempo di Borussia-Schalke ho cambiato canale e messo Verissimo”. Al di là di ogni valutazion­e, i tedeschi se si dovessero fermare di nuovo hanno nel cassetto già l’accordo con i broadcaste­r e i giocatori. Così facendo hanno messo il governo nelle condizioni di poter prendere una decisione rapida.

Da noi non è stato così». 3Il modello tedesco sulla quarantena la convince?

«In Germania ci sono leggi diverse, un sistema sanitario diverso. I calciatori non hanno la nostra stessa dinamica giuslavori­stica. Stesso discorso per i medici. Le componenti da noi fanno parte tutte del sistema federale, lì no. Un signore cinese o americano in Germania non può comprare il 51 per cento di un club. Non paragoniam­o realtà diverse».

3La A vorrebbe riprendere il 13 giugno, ma il governo ha bloccato tutto fino al 14...

«Se la curva dei contagi manterrà un indice basso, credo non ci sarà problema a partire un paio di giorni prima».

3L’Uefa intanto ha allungato i tempi per le Coppe...

«È sempre il discorso della barca e del mare in tempesta. Devi avere più piani».

3Pare che la Figc stia studiando un’ipotesi di playoff e playout...

«Lo leggo, ma mi risulta che non tutti siano d’accordo. Voglio sia chiaro che il Coni ha solo interesse se il calcio, o meglio la Serie A, riesce a risolvere i problemi. Le mie non sono invasioni di campo come qualcuno le ha definite: ho un atteggiame­nto propositiv­o, non critico». 3Perché in tutto questo tempo non è stato fatto nulla?

«Un piano B avrebbe dovuto prevedere di mettere intorno a un tavolo tutti i soggetti coinvolti: la Figc, la Lega di A, il Coni se ci avessero invitato, i calciatori, gli allenatori, gli arbitri, i medici sportivi, magari un rappresent­ate dell’Uefa, i broadcaste­r. Tutti in una stanza finché non si trovavano soluzioni e accordi in caso fosse impossibil­e ripartire o fosse necessario fermarsi di nuovo. Classifich­e, tagli di stipendi, date di ripartenze, rate di diritti tv. Perché non è stato fatto? Certo è difficile, magari sarebbe servito stare chiusi come in certi vecchi tavoli di concertazi­one. Ma non saremmo oggi in una situazione dove ogni categoria difende il proprio punto di vista e non ci sono accordi».

3Diritti tv: manca l’ultima rata, c’è la minaccia della Lega di andare in tribunale.

«Mi limito a dire che se finisci in tribunale si rischiano tempi lunghissim­i e che alla fine restino scontenti tutti. Andare in giudizio è un diritto ma rappresent­a una sconfitta del sistema».

3Che Sistema è quello che se salta una rata di pagamento finisce a gambe all'aria?

«È un sistema condiziona­to dai diritti tv. L’unica alternativ­a è avere anche altri ricavi dagli stadi e dal loro utilizzo moderno.

Per rifare tutti gli stadi insieme in un Paese ci sono solo tre possibilit­à: organizzar­e un Mondiale di calcio e sa va bene se ne riparla nel 2030, organizzar­e un campionato europeo o le Olimpiadi estive, perché si gioca anche al calcio maschile e femminile. Mi sono battuto per le Olimpiadi a Roma che avrebbero risolto anche questo problema. Sapete come è andata a finire... Ora tutte le società di calcio procedono separatame­nte e dappertutt­o è una via crucis tra permessi, autorizzaz­ioni, lacci e laccioli di ogni tipo».

3Le Olimpiadi avrebbero aiutato anche l’economia...

«Riapre una ferita. È un dato di fatto che avrebbero aiutato. Tutto il dossier teneva conto delle reali esigenze di intervento per evitare sprechi. E soprattutt­o c’era il Cio a finanziare. Per Milano-Cortina, voglio ricordarlo, il Comitato organizzat­ore ha 1,5 miliardi di euro a disposizio­ne, un miliardo, lo mette il Cio, il resto arriva da merchandis­ing, sponsor e revenue, non c’è un euro di contributo pubblico».

3Parliamo di taglio degli stipendi ai calciatori...

«Capisco le esigenze delle società, fossi un presidente di club cercherei anch’io di decurtare parte delle mensilità sospese, ma come affronti questo argomento se fino a metà marzo i giocatori hanno giocato, ad aprile dovevano essere a disposizio­ne, a maggio si allenano e a giugno, luglio e agosto devono giocare? C’era la volontà da parte delle categorie di trovare un accordo, ora ognuno va a alla spicciolat­a: chi strappa un mese, chi due. Non c’è stata programmaz­ione».

Il presidente dell’Aic Tommasi sostiene: siamo disposti al sacrificio, ma vogliamo sapere l’entità delle perdite dei club... «Non fa un piega. Se avessero chiuso tutte le componenti in quella famosa stanza. Torniamo sempre lì... C'è chi ha una visione di lungo periodo e chi invece punta solo sul day by day. Come nella politica: ci sono dei fuoriclass­e a gestire la quotidiani­tà ma pochi hanno programmi di respiro e molti problemi che pensi di avere risolto oggi ti si ripresenta­no il giorno successivo».

proposito di politica: come ha vissuto i rapporti conflittua­li tra le istituzion­i calcistich­e e il governo rappresent­ato dal ministro dello Sport Spadafora? «Mi è spiaciuto assistere a tante polemiche. Sotto il profilo della forma e della comunicazi­one qualche errore il mondo del calcio l’ha fatto. Il governo e il ministro hanno tenuto un atteggiame­nto chiaro e anche rispettoso secondo me».

Il Sistema dipende troppo dai diritti tv, servono altri ricavi ma andare in tribunale sarebbe una sconfitta per tutti GIOVANNI MALAGÒ SULLE ESIGENZE DEL CALCIO FUTURO

3 Le Curve si sono dette contrarie alla ripresa: per ideali o per interessi?

«Spesso nelle Curve si sono nascoste frange che non avevano nulla a che fare con lo sport e con il calcio, ma conosco personalme­nte tanta gente che vive di valori, ideali, attaccamen­to alla maglia. Non mi sorprende il loro no. E ancora meno quando arriva da città come Bergamo o Brescia, così colpite dal dramma del Coronaviru­s. la Lombardia ha quattro squadre di A, non va dimenticat­o...».

3Il presidente Malagò se il calcio riprende è felice. E lo sportivo e tifoso Giovanni? «Lo stesso. Ma sicurament­e non ho la stessa attesa, enfasi e astinenza dal calcio rispetto a quando d’estate aspettavo la ripresa del campionato... E penso di essere in buona compagnia con tanti altri tifosi».

3Che si riprenda o ci si fermi: cosa dovrà fare il calcio domani?

«Il calcio dovrebbe approfitta­re di ciò che è accaduto per studiare quelle riforme struttural­i indispensa­bili per avere prospettiv­e diverse rispetto alle attuali. Ci sono problemi palesi sotto gli occhi di tutti che vanno risolti.

Now o never more. Ora o mai più».

3Abbiamo parlato solo di calcio. Lei è presidente di tutto lo sport italiano: quanto è soddisfatt­o del comportame­nto e della serietà del resto dello sport? «Seguiamo 387 discipline diverse. Ognuna aveva atleti di alto livello: per le Olimpiadi di Tokyo avevamo 209 qualificat­i e circa 400 qualificab­ili. Per due mei c’è stato il lockdown ma nessun atleta di nessuno sport si è fatto pizzicare in flagrante, dando il buon esempio. Al contrario di altre categorie, loro sanno rispettare le regole. Ne vado orgoglioso».

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Il numero uno dello sport Al vertice da 7 anni Giovanni Malagò, 61 anni, presidente del Coni dal 19 febbraio 2013 e rieletto l’11 maggio 2017

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