Un’idea per la Serie A? Ripartire dal Fondo
Non solo la costituzione di una nuova società cui affidare la gestione dei diritti televisivi e la rivalutazione internazionale della Serie A, attraverso attività commerciali ad hoc, ma anche la partecipazione a un fondo dedicato alla costruzione di nuovi stadi e a ristrutturare quelli esistenti. Sono i dettagli, rivelati nei giorni scorsi dal
Financial Times, del maxiaffare da 2 miliardi e 200 milioni di euro proposto alla Lega da CVC Capital Partners in cambio del 20% della newco. CVC è un gruppo finanziario britannico, leader mondiale nelle attività di private equity in svariati settori: beni di consumo, servizi finanziari, farmaceutica, telecomunicazioni. Ha già investito nel mondo dello sport: detiene il 70% di Formula One Group e sta trattando per entrare nel Pro14, la Superlega del rugby. Nei mesi scorsi ha bussato, invano, alle porte nientemeno che di Fifa e Real Madrid. La voglia di pallone degli investitori internazionali è in continua crescita nella convinzione che il calcio possa essere, lo è già in alcuni Paesi, un’industria in grado di produrre utili. In principio erano i cartellini dei giocatori la porta d’accesso: i fondi ne rilevavano quote di proprietà in modo da ricavare profitti dalle loro future rivendite. Ricordate l’imprenditore d’origine iraniana Joorabchian? Acquisì i diritti di campioni come Tevez e Mascherano, al punto da accendere i fari delle autorità calcistiche sulle operazioni di mercato che li coinvolgevano. Si capì subito che il fenomeno delle cosiddette Third Party Ownership presentava vari profili di criticità, fino al rischio di illeciti sportivi nel caso in cui l’azionista di un fondo detentore di una quota del cartellino di un giocatore di una società ics fosse allo stesso tempo azionista o proprietario di una società ipsilon concorrente. Perciò la Fifa decise di mettere al bando le
Tpo. Regola poi comunque spesso elusa soprattutto in due modi: trasformando il titolare della quota di cartellino in società di intermediazione e incassando così il compenso come commissione, oppure, in modo più accettabile, acquisendo quote del club del calciatore in modo da non essere più terze parti.
Fu così che i fondi cominciarono a entrare direttamente in società. Più raro il caso di Elliott, proprietario a tutti gli effetti del Milan, più frequente la partecipazione con quote di minoranza. Non tutti sanno, per esempio, che il gruppo irlandese Lindsell Train detiene contemporaneamente il 19,33% del Manchester United, il 15% del Celtic Glasgow e il 10% della Juventus (secondo maggiore azionista). Tutto regolare, dal momento che non può incidere sulle governance dei club. Più preoccupante, forse, è che il Fondo sovrano di Abu Dhabi possieda, oltre al Manchester City, altre nove squadre in giro per il mondo, da Girona a New York: giocano in campionati diversi, ma insomma...
La verità è che se gli investitori istituzionali hanno capito che il calcio può essere fonte di guadagno, il calcio di questi capitali ha bisogno come dell’ossigeno, soprattutto in sistemi fragili come quello italiano. Con regole da ridefinire. Meno speculazioni sul mercato dei giocatori e più impieghi sullo sviluppo delle infrastrutture, dei settori giovanili e magari anche del calcio femminile. In questa ottica, dell’offerta di CVC non bisogna avere paura: ripartire dal Fondo potrebbe non essere una cattiva idea.