Dal caffè al taglio di capelli: riaperture con l’aumento Ma c’è chi sforbicia i prezzi
Dal caffè sospeso al caffè rincarato. Ed è solo un esempio. «Speriamo che restino casi isolati», dice il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, alle prese con molte segnalazioni. Soprattutto nelle grandi città, al via della “fase 2”, l’Italia si è ritrovata con qualche novità. Del tutto comprensibile, se vogliamo. La sostanza è che diversi locali, per tentare di recuperare quanto perso durante il lockdown, hanno ritoccato i prezzi. Così, da Milano a Roma, ecco 10 centesimi in più per una tazzina. In centro a Milano, anche qualcosa in più. Nel complesso, per il caffè, l’associazione dei consumatori riferisce di aumenti fino al +53,8%, considerando che dalle parti del Duomo si è arrivati a 2 euro. C’è anche il caso di Vicenza, dove cinquanta gestori di bar hanno deciso - di comune accordo - di portare un caffè a 1,30 euro e un cappuccino a 1,80. Poi ci sono i parrucchieri: +25% per taglio capelli, shampoo o messa in piega. È anche l’effetto dei nuovi costi, che commercianti e artigiani non avevano prima: dagli asciugamani monouso agli igienizzanti, dalle mascherine ai guanti e ai grembiuli usa e getta. Ed è l’effetto del distanziamento sociale, che provoca la riduzione del numero dei clienti e, di conseguenza, dei guadagni. Ma il settore che preoccupa di più, inevitabilmente, è quello alimentare. L’Istat ha già registrato, nel mese di aprile, un aumento medio dei prezzi del cibo del 2,8% e con picchi trasversali sotto l’aspetto geografico: da Caltanissetta a Trieste. Al momento, mangiare costa più caro in Friuli (con un aumento dei prezzi a livello regionale del 4,8%), in Liguria e in Umbria (entrambe con +3,6%) oltre che in Sicilia (+3,4%). Nelle Marche i rincari sono meno vistosi: 2,1%.
La via dei presepi
Secondo il Codacons, alla fine, la “fase 2” si rivelerà una stangata da 536 euro per le famiglie e bisogna attendersi aumenti in vari settori. Confcommercio fa intanto sapere che ha riaperto oltre il 90% dei negozi di abbigliamento: intimo, camicie e scarpe tra i prodotti più richiesti. Nella ristorazione, avvio lento col 70% dei locali aperti e il 40% dei dipendenti rimasto a casa, pari a circa 400 mila unità. Va considerato che tanti dipendenti di attività di nuovo operative sono ancora in cassa integrazione (se ricevuta), perché la domanda al momento è modesta. Però c’è anche chi cerca la via opposta per far ripartire i consumi, e sono i commercianti che studiano sconti e promozioni: basta fare una passeggiata in corso Buenos Aires a Milano, celebre via dello shopping, per notare vetrine con il richiamo a tagli dei prezzi – qualcuno garantisce ribassi fino al 70% – riservati non solo agli iscritti ai vari programmi fedeltà. Dall’abbigliamento (in fondo bisogna svuotare i magazzini pieni di capi primaverili) alla valigeria e agli elettrodomestici. Due facce diverse a Napoli, infine, dove le restrizioni sono state prolungate fino a oggi del governatore Vincenzo De Luca e i ristoranti del lungomare si preparano alla riapertura di domani per una simbolica festa, senza turisti stranieri ma confidando nella voglia dei napoletani di mangiare fuori. La faccia triste è quella di San Gregorio Armeno, con saracinesche abbassate e un cartello davanti a ogni negozio: «Io non apro, senza aiuti le botteghe muoiono e con loro la storica tradizione di Napoli» scrivono gli artisti del presepe. «Noi viviamo sui grandi numeri e questa strada resterà deserta a lungo. Rischiamo di scomparire e chiediamo aiuto alle istituzioni - dice il maestro Lucio Ferrigno – perché siamo il motore per tante attività del centro storico. Vogliamo essere un interlocutore nella nostra veste di veicolo di cultura».