NEPPURE A BRESCIA È TORNATO GRANDE UN DECLINO LENTO TRA BALOTELLATE E OCCASIONI PERSE
La maglia dell’Inter buttata via, la “gita” a Scampia, la lite con Mancini al City, ma il suo punto di non ritorno è stato il Mondiale in Brasile nel 2014. Da lì in poi, la decadenza
eppure a casa sua. Mario Balotelli si è incagliato anche al Brescia, nella squadra della provincia in cui è cresciuto e ancora vive. A quasi trent’anni non ci sono più grossi margini, Balo è destinato a chiudere come ha iniziato: una grande promessa non mantenuta. Mino Raiola sarà bravo come sempre a trovargli un altro buon contratto non ne restano molti - e poi Mario avrà davanti gli ultimi chilometri di carriera. Lo ritroveremo forse in tv, sulla spiaggia dei famosi o al grande fratello vip. Il copione sembra scritto.
Le cause
Perché? Perché il ragazzo che a 23 anni aveva già segnato 13 gol in Nazionale, tanto che si pensava che ce l’avrebbe fatta a scardinare il record, le 35 reti di Gigi Riva in azzurro, perché Mario si è perso? Le ragioni vanno cercate alle radici. Mario diviso in due: nato Barwuah, è diventato Balotelli. La famiglia naturale a Palermo non riusciva a mantenere tanti figli, la famiglia adottiva a Brescia gli ha assicurato le migliori possibilità. Una scissione in senso lato, qualcosa che segna per la vita.
NGli eccessi
Finché ha avuto un’età intorno ai vent’anni, un po’ prima e un po’ dopo, i suoi eccessi sono stati tollerati, guardati con un surplus di benevolenza. Balotellate, le chiamavamo. Qualche esempio. I fischi e la maglia scagliata a terra alla fine di InterBarcellona, nella Champions 2009-10: i tifosi inferociti, il castigo, la riabilitazione. I colpi di pistola scacciacani nel giugno dello stesso 2010, in piazza della Repubblica a Milano: arrivo della polizia, identificazione. Nel 2011 la “gita” a Scampia, il quartiere “narcos” di Napoli, in incognito, scortato da soldati di camorra: «Non sapevo chi fossero». La sosta alle case dei Puffi, famigerata piazza di spaccio. Lo sgomento dei carabinieri: “Balo-Saviano” voleva vedere Gomorra dal vero. Al City le freccette scagliate contro un gruppo di ragazzi delle giovanili, i petardi esplosi in un bagno dell’abitazione e il relativo incendio, la lite furibonda con Roberto Mancini, il suo primo estimatore, che lo aveva voluto a Manchester: quando vieni alle mani con il maestro che crede in te, la strada è segnata.
Il confine
Grande chance Nel 2014 aveva il vento in poppa, il c.t. Prandelli credeva in lui
L’inizio della fine In Brasile però si è buttato via, ha rotto col gruppo: dopo, la discesa
Il discrimine tra quello che poteva essere e che poi non è stato va ricercato in Brasile. Il Mondiale del 2014 doveva essere il suo Mondiale. Mario ci arrivò sotto l’ala del c.t. Cesare Prandelli, altro super estimatore di Balo, e forte del grande Europeo del 2012. Finì per perdersi. Un po’ per gli affari di cuore, l’amore con Fanny, la fidanzata del tempo, con lui nel resort di Mangaratiba, perché il c.t. aveva voluto un ritiro olandese, aperto a famiglie e compagne: promesse di matrimonio, anelli di fidanzamento, tutte cose poi disattese. Un po’ per lo scollamento con il gruppo e con i suoi leader: Buffon, Chiellini, De Rossi e Pirlo non lo amavano alla follia. Un fallimento tecnico totale, di squadra e di Mario. La resa dei conti all’intervallo della partita fatale contro l’Uruguay: l’insofferenza di Balotelli ai rimbrotti dei compagni, che lo invitavano a impegnarsi e correre di più; la sostituzione decisa da Prandelli, pure lui stufo di tanta arroganza. E la quasi rissa del giorno dopo, a eliminazione conclamata. Tutti preparavano i bagagli per il rientro, con aria afflitta. Mario aveva convocato un barbiere affinché gli colorasse di biondo la cresta: qualche