La Gazzetta dello Sport

L’Ulisse del pallone alla ricerca di se stesso

- Di Andrea Schianchi

Neanche Ulisse, che ha impiegato vent’anni per tornare a Itaca, ne ha combinate tante. Mario Balotelli, con i suoi tormentoni di stagione, le sue bizze (ora estive, ora invernali) e i suoi capricci, è ormai un personaggi­o letterario che, da solo e senza l’intervento di un autore, alimenta il testo e lo arricchisc­e fino a trasformar­lo in un’autentica soap-opera. Il problema è che lui, di mestiere, dovrebbe fare il calciatore, dovrebbe correre e tirare, dovrebbe dribblare gli avversari e segnare tanti gol: tutte faccende, queste ultime, che il pubblico ha ormai consegnato all’album della memoria. Invece Balotelli sembra sia rimasto prigionier­o di un ruolo dal quale, fin dagli esordi della carriera, non è mai riuscito a liberarsi. Ogni volta che ci riprova, che sia al Manchester City o al Milan, al Nizza o al Brescia, si sprecano le promesse, farò il bravo, mi comporterò bene, qui c’è l’ambiente giusto per rinascere, e poi alla fine della stagione siamo a parlare di lui come di un giocatore in cerca di una squadra (e di un nuovo, più ricco, contratto).

Il 12 agosto compirà trent’anni, la maturità dovrebbe averla già incontrata, così come avrebbe dovuto chiarirsi le idee su che cosa desidera fare da grande. Ammesso che non sia ciò che sta facendo adesso, e cioè saltellare da un palcosceni­co all’altro, come capitava una volta agli attori di varietà a fine carriera che pensavano soltanto a pane e companatic­o. Nel 2021, virus permettend­o, ci saranno gli Europei e per Balotelli potevano essere un progetto, una sfida. Saranno, invece, l’ennesima occasione sprecata per questo ragazzo che non ne vuole sapere di diventare grande e continua a vivere la sua vita spericolat­a alla Steve McQueen.

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