Le calciatrici “pro”? Solo fuga dalla realtà
●Lacrime a Roma #10
Efarturi@rcs.it portofranco@rcs.it calciatrici da molto prima del mondiale francese dell’anno passato, quando finalmente l’opinione pubblica ha cominciato ad amarle. Il fulcro del nostro intervento è stato ed è la demolizione delle odiose discriminazioni di genere a loro danno. Riteniamo che il calcio sia cosa di donne tanto quanto lo è di uomini. Abbiamo quindi le carte in regola per parlare a cuore aperto.
Il professionismo è regolato in Italia da una legge dello Stato, la numero 91. In particolare il testo richiede ai club professionistici una serie di impegni economicostrutturali del tutto insostenibili per migliaia e migliaia di società dilettantistiche del nostro Paese. E non solo per quelle del calcio donne: anche Zaytsev, con i suoi contratti annuali da mezzo milione di euro, è formalmente dilettante. Così come i cestisti dalla Serie A2 di basket in giù, i pallanotisti, quelli dell’atletica leggera, del nuoto, e una valanga di eccetera. La parità di genere nel campo del professionismo sportivo conta zero, e sarebbe intellettualmente onesto ammetterlo una buona volta. Le 350 mila pallavoliste tesserate costituiscono la spina dorsale dello sport femminile italiano, di cui le poco più di ventimila calciatrici rappresentano l’1,9%. Mettiamo pure che Sara Gama e compagne riescano prima o poi a salire sul dirigibile del professionismo (pagato dal calcio maschile, perché altra via realistica non esiste al momento), che cosa vedrebbero guardando giù? Una platea di un milione e 200 mila sportive lasciate a
Il superamento dell’ormai obsoleta legge 91 può, e direi deve, essere un obbiettivo comune. I modelli virtuosi non mancano all’estero: penso soprattutto a quello francese. Il traguardo non è però a portata di mano, considerando i tempi estenuanti della politica italiana. Ma intanto bisogna solo subire? Proprio no: anche in ambito dilettantistico si può imporre il rispetto rigoroso dei contratti (con dure sanzioni deterrenti), tutele sanitarie adeguate, maternità inclusa, codici di comportamento anti abusi e tante altre garanzie per chi fa sport. Vogliamo cominciare a lottare davvero evitando le fughe dalla realtà?