IRVING “THE SHOT” LA SUPER TRIPLA CHE MANDÒ I CAVS IN PARADISO
The Block. The Shot. The Stop. Sono passati quattro anni, ma a Cleveland se la ricordano ancora quella filastrocca così fondamentale per la conquista dell’unico titolo dei Cavs, quello che nel 2016 ha tolto all’intera città l’etichetta di perdente. È una sequenza di magie in campo, in gara-7 contro i Warriors di quelle indimenticabili Finals, quelle che hanno determinato la vittoria. La più iconica, quella che gli highlights ripropongono all’infinito, è The Block, la stoppata di LeBron James su Andre Iguodala. L’unica che abbia inciso veramente sul risultato, però, è The Shot, la tripla con cui Kyrie Irving ha dato a Cleveland la spinta per la fuga decisiva. Una prodezza per cui, anche adesso che se n’è andato sbattendo la porta, in Ohio sono ancora grati al 28enne che sa maneggiare il pallone come nessun altro.
La prodezza
The Shot per Irving è la ciliegina sulla torta di Finals che lo consacrano come l’erede al trono di King James. La point guard era rimasto fermo per metà stagione all’inizio di quel 2015-16, e quando era tornato il suo unico scopo, mentre Cleveland passava da David Blatt a Tyronn Lue, era quello di rimettersi in forma per i playoff. E così aveva fatto, arrivando con un meraviglioso crescendo fino alle Finals coi Warriors, rivincita dell’anno prima, di quella serie per il titolo 2015 che Irving aveva lasciato
A 55” dal termine di gara-7 coi Warriors la perla che regala il primo titolo a Cleveland Un anno prima finì con un ginocchio rotto
dopo gara-1 con un ginocchio rotto. Il 2016 sembrava una maledizione simile, coi Cavs sprofondati sotto 3-1 prima di mettere in piedi la più clamorosa rimonta della storia delle Finals, portando i Warriors dei record, quelli delle 73 vittorie in regular season a gara-7. LeBron era stato il motore di quella rimonta. Kyrie però aveva dimostrato di essere irresistibile quanto il suo fenomenale compagno di squadra, contribuendo a distruggere la difesa di Golden State, andata in tilt ad un passo dal titolo. Irving in gara-7 è una costante spina nel fianco, l’unico che riesce a segnare su azione nei 4’39” conclusivi, quando le due squadre vanno avanti quasi in trance dopo che Klay Thompson fissa il punteggio sull’89-89. La maledizione la spezza Irving, qualche secondo dopo The Block: danza con Steph Curry sull’arco dei tre punti, e a 55” alza una parabola che si infila precisa dentro il canestro, per il 92-89 Cleveland. Uno schiaffo da cui i Warriors non riescono più a riprendersi, il colpo del k.o. che regala a Cleveland uno storico titolo. Kyrie è intontito quando, con la maschera da sci ancora sugli occhi e la maglia zuppa di champagne, incontra i giornalisti nello spogliatoio degli ospiti della Oracle Arena di Oakland, dove i Cavs stanno festeggiando il loro primo, storico titolo. Farfuglia qualcosa, ma le parole non gli escono per spiegare quella prodezza. «Non ero dentro il momento a livello
Match point è il punto finale che aggiudica la vittoria di uno dei due contendenti o di una delle due squadre. È un termine inglese diventato universale, una parola tra le più importanti del vocabolario dello sport. Che trasuda di passione ed emozioni. Un vocabolo che nasce col tennis, viene adottato dalla pallavolo ma che si può estendere tranquillamente a tutte le altre discipline sportive. Perché il match point è il momento chiave. Ce ne sono di attesi mentre altri sono sorprendenti. Dopo il mitico gol di Gianni Rivera in Italia-Germania del 1970, ecco un altro racconto sui match point magici, quelli che hanno fatto la storia dello sport.
IL NUMERO 26
emotivo come avrei dovuto> dirà due anni dopo con un po’ di rimpianto. Il personaggio Quel tiro è stato per ora il punto più alto della parabola di Irving in Nba. I Cavs sono tornati alle Finals l’anno dopo, finendo travolti 4-1 dai Warriors che nel frattempo avevano aggiunto Kevin Durant. E dopo quella serie per il titolo 2017, Kyrie ha chiesto e ottenuto di andarsene, stanco di essere l’erede al trono di King James. È finito a Boston, lasciata dopo due anni con più ombre che luci, provando a diventare leader di una squadra come avrebbe sempre voluto fare ma finendo per fare notizia più per quello che dice quando non è in campo (come l’aver sostenuto la teoria che la Terra sia piatta) che per le magie sul parquet. Coi Celtics è finita male quasi come coi Cavs: a ottobre 2018 aveva detto di voler rimanere per sempre a Boston, a giugno 2019 se n’è andato a Brooklyn con Durant. Nella stagione sospesa per pandemia, quella in cui avrebbe dimostrato di poter fare il leader, ha finito per giocare appena 20 partite, tormentato da continui infortuni: non tornerà in campo quando la stagione riprenderà il 31 luglio a Disney World. Irving resta un talento, assolutamente imprevedibile con la palla in mano, una star capace di alzare il livello più il pallone scotta, più la partita è importante. L’ha dimostrato con The Shot, il tiro che ha deciso le Finals 2016.