Nessuna pietà per lui. Perché tornerà da noi
/ L’amico sacerdote racconta un uomo speciale
Elo chiamano disabile. Da parte mia, invece, nessuna pietà per Zanardi. Non è mancanza di educazione o strafottenza, è questione di onestà: sin dal primo sguardo che ci siamo scambiati, una decina di anni fa, ho capito che il limite era un concetto marchiato a fuoco nel mio corpo e nient’affatto nel suo. Il limite non era vedere un uomo senza gambe che danzava sulla terra, ma essere un uomo che le possiede entrambe e non essere capace di produrre un centesimo dell’energia che lui sprigiona: «Il vero disabile è colui che ha poca stima di sè» ebbe a dire una volta in uno dei nostri incontri con gli studenti nelle scuole. Non solo le gambe, ma anche la testa, il fegato, le braccia, lo sguardo. Oltre, di più: la magia della sua parola, con quell’uso raffinato del congiuntivo che fa di lui un grande narratore di storie, lui che è incrocio e ispirazione di tantissime storie. Non gli ho mai fatto indossare la pietà come fosse un vestito cucito su misura, io che in materia di pietà convengo con Cesare Pavese: «Farsi amare per pietà, quando l’amore nasce solo dall’ammirazione, è un’idea molto degna di pietà». Penso al mio amico Alex e l’unica pietà che sento di addossargli è quella del capolavoro michelangiolesco, dove il dramma della sconfitta è riscattato da quel volto di Donna capace di partorire vita laddove tutti vedono solo ed esclusivamente una morte. Una disfatta da ca