Prati, ultimo abbraccio in mezzo al campo
Maglia rossonera e sciarpe della Roma: il saluto all’oratorio al bomber della finale del 1969
Una cerimonia unica, come la sera del 1969 in cui Pierino Prati fu il primo, e ultimo, italiano a segnare tre gol in una finale di coppa dei Campioni, contro l’Ajax. Una cerimonia semplice che non sembra nemmeno un funerale, perché la chiesa è un campo da calcio dell’oratorio Paolo VI° di Fabbrica Durini, una frazione di Alzate Brianza nel comasco, distante dalla grande Milano ma non dal letto di ospedale in cui è finita la sua partita più triste, a 73 anni. Troppo presto, perché Pierino era l’ultimo nelle formazioni scandite dall’altoparlante di San Siro, ma soprattutto era il più giovane della filastrocca vincente del Milan di Rocco, che molti tifosi snocciolano ancora a memoria: Cudicini, Anquilletti, Schnellinger, Rosato, Malatrasi, Trapattoni, Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati.
Bianco rosso e nero
Adesso lui è lì, in una mattinata di sole, davanti a quattrocento fedelissimi, in mezzo al campo, non nell’area avversaria ma dentro una bara, bianca come la maglia con la quale vinse la Coppa intercontinentale, disteso come quando il portiere dell’Estudiantes, Poletti, gli rifilò a tradimento un calcione nella schiena. A ricoprirlo il suo numero 11 rossonero, una sciarpa della Salernitana, squadra con la quale aveva cominciato a segnare, una della Roma dove ha lasciato tanti amici come Bruno Conti, una maglia della Nazionale con cui vinse l’Europeo del 1968, azzurra come il cielo dove lo aspettano Rocco e i compagni Rosato e Anquilletti. Gli altri non ci sono, ma idealmente sono tutti vicino alla famiglia, a cominciare da Lodetti
che ha preferito ricordare il suo Piero, come lo chiamavano a Milanello, pregando da solo in una chiesa vicino a casa.
Modestia e spirito
Sono arrivati, invece, Franco Baresi in rappresentanza del Milan di oggi, accompagnato da Nicola Pozzi, Walter De Vecchi e Filippo Galli che hanno lavorato con Prati fino a un paio d’anni nei campus del Milan. E tutti, sotto le mascherine e sulle sedie allineate a distanza sull’erba, hanno ripetuto le stesse parole, non di circostanza: «Era una bellissima persona». Sì, perché del goleador si sa tutto e su Youtube si possono rivedere le immagini delle sue imprese, ma il vero Pierino, come si chiamava all’anagrafe per volere del padre, lo hanno conosciuto pochi. Pochi, infatti, sanno che era modesto, perché considerava Riva più forte di lui, ma al tempo stesso spiritoso quando aggiungeva che sarebbe stato meglio se Gigi fosse nato in Svizzera. Modesto e spiritoso anche con i ragazzini che ha allenato, tra i quali Luigi Berlusconi, l’ultimo figlio del presidentissimo. Alla fine di ogni allenamento si divertiva a calciare i rigori, a volte sbagliando apposta. «Così faccio contento qualche portierino che va a casa e racconta ai genitori di aver parato un rigore di Prati». Agli attaccanti, invece, insegnava a colpire di testa, raccontando che lui aveva imparato a farlo tuffandosi sulla paglia dei fienili. Ricordi che si accavallano mentre il figlio Cristiano accarezza la bara tra i singhiozzi, salutando con gli occhi lucidi la moglie dell’ex compagno Gino Maldera, bloccato dalla paura del virus, l’unico avversario che continua a spaventare anche Schnellinger, rimasto a casa a malincuore. «Ma lui – dice il tedesco - ci conosce e capirà». Certo che capirà, perché Pierino ripeteva di avere un cuore per tre quarti rossonero e un quarto giallorosso. E così domenica, alla fine di Milan-Roma, sarà contento in ogni caso. Non come chi lo rimpiange e lo rimpiangerà per sempre.
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